“Negli ultimi due anni almeno, l’attenzione alla catastrofe ambientale, che già stiamo vivendo e che peggiorerà ulteriormente, è progressivamente scemata, tanto che perfino l’evento più importante a livello internazionale (il vertice Cop30 di Belém dello scorso mese di novembre) è passato quasi sotto silenzio.
In questi giorni è tornata alla ribalta. Purtroppo, però, non per darci qualche buona notizia; al contrario, se ne parla per dirci che la norma Ue che imponeva la fine della produzione dei motori termici dopo il 2035 è andata a finire nel dimenticatoio.
In un certo senso era il perno del Green Deal, peraltro progressivamente smantellato a colpi di deroghe e revisioni in tutti i settori, da quando ha preso vita l’attuale “governo” Von der Layen 2. La transizione ecologica del settore auto, sotto la spinta dei colossi del fossile, della lobby dei produttori e con la sponda decisiva di numerosi governi, primi fra tutti quelli italiano e tedesco, insieme a diversi paesi dell’est Europa, non ha resistito. Soltanto Spagna, Francia e alcuni paesi nordici hanno cercato di rimanere fermi nella difesa del superamento (entro il 2035) del motore termico. Facciamo notare: entro il 2035, cioè ci sarebbero ancora ben dieci anni per prepararsi, per innovare, per creare competenze, per costruire infrastrutture adeguate, anche facendo tesoro – per esempio – delle proposte alternative prodotte da molti soggetti direttamente interessati, come i lavoratori e le lavoratrici della GKN di Firenze o dell’ex Ilva di Taranto, e di quei (pochi) Paesi che la scommessa la stanno accettando. Ma i nostrani padroni del vapore (e la maggioranza di quelli europei) hanno deciso che no, in questi dieci anni vogliono solo continuare a fare profitti, possibilmente continuando a succhiare fiumi di soldi pubblici e a piagnucolare per il calo delle vendite e per il fatto che la Cina potrebbe invadere i nostri mercati, e infischiandosene bellamente della vita reale, della salute della quotidianità di chi questo Pianeta lo abita.
La proposta dello stop all’endotermico per aprire all’elettrico risale a quando Von der Leyen sembrava voler spingere l’acceleratore del cosiddetto Green Deal, sul quale noi ci eravamo sempre pronunciati criticamente, giudicandolo insufficiente e contraddittorio, ma che almeno poneva degli obiettivi concreti e di una certa efficacia, se realizzati entro tempi ragionevoli. Ieri la Commissione Ue ha effettuato una decisa retromarcia, grazie alla quale non sono più previste né l’addio a benzina e diesel inquinanti entro dieci anni, né l’azzeramento delle emissioni di Co2. Vogliono farci credere che sia un modo per proteggere la filiera industriale ed evitare così i costi della transizione ecologica ed energetica, e tenere testa alla concorrenza cinese, ma in realtà il calo vistoso e già in atto del settore automobilistico non è certo dovuto alla riconversione, che ancora c’è stata assai poco, ma probabilmente proprio alla sua mancanza.
Noi non siamo sostenitori acritici dell’auto elettrica, né vediamo in essa la soluzione a tutti i problemi. Sosteniamo da sempre che la svolta vera starebbe nella trasformazione urbanistica nel senso della massima sostenibilità, nel potenziamento reale del trasporto pubblico, sia per lo spostamento urbano che per le lunghe distanze, nel trasferimento su rotaia dell’attuale enorme volume di traffico merci che viaggia su gomma.
Ma l’affezione all’auto privata è estremamente radicata, e anche nelle città meglio organizzate i volumi di traffico sono imponenti, per cui ridurre l’impatto che essi hanno sulla qualità dell’aria, sul riscaldamento globale, sulla dipendenza dal mercato dei combustibili fossili, è fondamentale. Pertanto lo stop alla commercializzazione (si badi bene: alla commercializzazione, non all’utilizzo, per cui, in ogni caso, per molti – troppi – anni ancora i possessori di auto tradizionali avrebbero comunque dormito sonni tranquilli) era un provvedimento di puro buon senso, da annoverare fra quelli minimi e indispensabili
L’ inversione di marcia è passata con 428 a favore, 218 contrari e 17 astensioni. A chi dovranno dire grazie le giovani generazioni è facilmente consultabile. Purtroppo, però, dobbiamo notare che la convinzione nel sostenere la vera transizione ecologica, anche nel mondo progressista è piuttosto blanda. La centralità della questione ambientale è quasi scomparsa, e i progetti più seri e convincenti di riconversione ecologica in economia (e segnatamente nel settore della mobilità) rimangono prevalentemente patrimonio del mondo associativo, della comunità scientifica, di qualche imprenditore illuminato, ma trovano un riscontro deludente in quasi tutti i settori della politica, e ancora peggio nella gran parte del mondo economico e di quello istituzionale.
Sinceramente speriamo che, a causa dei gravissimi passi indietro compiuti dalla Commissione Europea sul Green Deal, la maggioranza “Ursula bis” vada in frantumi il più rapidamente possibile.
Ma vorremmo anche vedere un’assunzione di responsabilità nel muovere dei passi concreti in direzione della fuoriuscita dalle fonti fossili (che invece – e a Ravenna lo sappiamo bene – continuano ad essere promosse e potenziate). Così come vorremmo vedere le piazze piene di manifestazioni di protesta, di petizioni, di atti di disobbedienza. Noi – come si sa bene – ce la mettiamo tutta, senza per altro stancarci di sottolineare i legami strettissimi che intercorrono fra questione ecologica e tanti altri problemi drammatici (in primo luogo le guerre, i genocidi e le immani sofferenze dei popoli più poveri).
Ma è ora che l’intera società civile, e le sue espressioni politiche, si facciano interamente carico di questi temi e agiscano di conseguenza.”
Coordinamento ravennate Per il Clima – Fuori dal Fossile


























































