“A Palazzo di Giustizia, a Ravenna, è in corso il processo contro le infiltrazioni ‘ndranghetiste. 24 persone a giudizio devono rispondere delle accuse di associazione a delinquere, bancarotta, autoriciclaggio, intestazione fittizia ed estorsione, con l’aggravante di ‘Ndrangheta, ossia forza intimidatrice, di assoggettamento ed omertà. È il processo “Radici”: il filone principale di un procedimento che vede complessivamente 32 imputati si svolge proprio a Ravenna; altri giudizi a Bologna e Modena. Da parte delle cosche dei Piromalli di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e dei Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) ci sono stati investimenti illeciti, avvenuti anche in epoca Covid, in esercizi commerciali del litorale e in aziende edili, della ristorazione e dolciarie. Infiltrazioni registrate in Romagna ma anche a Reggio Emilia.

Facciamo un passo indietro di otto anni. Torniamo a qualche mese prima delle elezioni del 2016. All’epoca l’allora Sindaco del PD, predecessore dell’attuale (pure del PD, tanto per non perdere il vizio, eletto per la prima volta nel giugno di quell’anno) definiva “fanghiglia”, “degenerazione estremista e in definitiva maniacale”, nonché “cose completamente false” le notizie circa l’infiltrazione ‘ndranghetista in Emilia Romagna. Era il febbraio 2016 e il Gruppo dello Zuccherificio aveva appena diffuso “Tra la via Aemilia e il West”, dossier sulle mafie in Emilia Romagna basato sulla puntuale e puntigliosa rendicontazione giornalistica dei fatti di mafia (nonché ‘ndrangheta, camorra, ecc.) regionali. Tra l’altro si raccontava che:

«nel 2009 l’allora sindaco di Reggio Emilia, ed attuale ministro alle infrastrutture, Graziano Delrio non si era accorto della presenza mafiosa nella sua città, nonostante avesse finanziato numerosi dossier sul tema, tanto da andare in campagna elettorale ad omaggiare proprio a Cutro la santissima festa del Crocifisso. Cutro: il cuore del potere criminale della cosca Grande Aracri. L’interrogatorio che riportiamo risale al 2012: Pubblico Ministero Pennisi: “Ma lei sa che esiste una persona che si chiama Nicola Grande Aracri”? Delrio: “So che esiste Grande Aracri, Nicola non… non lo avevo realizzato”. PM: “Sa che è di Cutro”? Delrio: “No, non sapevo che fosse originario di Cutro, perché abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo”. PM: “Scusi, per dire la verità, che Nicola Grande Aracri e che la criminalità organizzata che proviene da Cutro si ispiri a lui, penso lo sappia anche lei se ha letto sui giornali gli interventi del Prefetto”. Ma l’esponente del Pd probabilmente era distratto. Così come il suo successore alla carica di sindaco il democratico Luca Vacchi, la cui moglie, Maria Sergio, si è ritrovata nel 2012 ad acquistare casa da Francesco Macrì, che da lì a tre anni sarebbe stato arrestato come prestanome della ’ndrangheta nell’operazione Aemilia. Nulla di male, uno mica può sapere quando acquista un immobile che il venditore sarà inquisito da lì a poco. Certo risulta più strano che, una volta partiti gli arresti ed il clamore, Vecchi o la moglie non si siano mai accorti che in stato di fermo ci fosse chi gli aveva venduto casa. Ma a Reggio Emilia capita di essere tutti un po’ di distratti, tanto è vero che Delrio riteneva nel 2015 che, se il processo Aemilia, quasi tutto incastonato nella città del tricolore della quale era Sindaco, si fosse svolto “altrove”, non sarebbe stato poi un gran problema, salvo smentire da lì a breve. Di certo “occasionale” non è la presenza delle aziende mafiose nella gestione di opere pubbliche».

Non gradì l’allora Sindaco e ribatté, benché non chiamato in causa, a tutela dell’onorabilità del partito e dei suoi dirigenti: «Conosco Graziano Delrio da 15 anni e mi sono sufficienti a testimoniare la sua moralità che probabilmente gli autori delle infamie scritte non sanno neanche dove sta di casa. Per esperienza e conoscenza diretta sono testimone della tradizione di buon governo di Reggio Emilia, tradizione di buon governo che trova cristallina conferma anche nell’attuale Amministrazione Comunale». Se avesse influito su questo giudizio il fatto che tra gli autori del dossier ci fosse anche quello che all’epoca era il nostro portavoce, Massimo Manzoli (poi Capogruppo per Ravenna in Comune in Consiglio Comunale) non sappiamo. Di certo sappiamo cosa oggi si scrive sui giornali, praticamente ogni giorno: di rapporti tra esponenti del PD (non solo emiliano-romagnoli, per carità, dal nord al sud della penisola!) e il malaffare, quando va bene, o le “mafie”, quando va peggio. Non sappiamo cosa ne dicano i vertici di quel partito, perché la Segretaria ha scelto il silenzio sulla “questione morale”. E il vuoto non può certo essere riempito dallo sguardo di Enrico Berlinguer che compare sulle tessere del PD: un’appropriazione a dir poco indebita, visto che il PCI di cui era Segretario nulla storicamente ha a che vedere con il PD liberista e anticomunista guidato da Elly Schlein. Abbiamo visto cos’ha significato il processo Aemilia confermato dalle sentenze rese definitive dalla Cassazione. Abbiamo visto che da quello storico processo ne sono poi nati altri: Grimilde, Perseverance, Billions e Octopus intasano le aule del Palazzo di Giustizia di Reggio Emilia. Abbiamo anche letto le dichiarazioni rilasciate dall’allora Pubblico Ministro che interrogò Delrio: «Mi impedirono di indagare sui rapporti cosche e Pd. Nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta in Emilia, la Procura non volle toccare i politici».

Certo hanno colpito duro le parole con cui, giusto un paio di anni fa, la procuratrice generale di Bologna inaugurò l’anno giudiziario definendo la nostra Regione “distretto di Mafia”: «Uso questo termine perché, dalla corretta lettura delle indagini e dei processi contro la ndrangheta che si sono svolti nella regione Emilia Romagna, è evidente che non è più una questione di presenza di mafiosi, di diffusione della mentalità, ma piuttosto di condivisione del metodo mafioso anche da parte di taluni cittadini emiliano-romagnoli, imprenditori e colletti bianchi, ovverosia professionisti, i quali hanno deciso che “fare affari” con la ndrangheta è utile e comodo». Il Prefetto di Ravenna, Castrese De Rosa, a sua volta, fu anche più preciso per quanto riguarda l’ambito ravennate: «A Ravenna abbiamo storicamente la presenza di famiglie ‘ndranghetiste e camorriste che sono riuscite a trovare soggetti locali a cui aggrapparsi, disposti anche a fare da prestanome. Questi agganci possono essere ovunque, dall’imprenditoria alla politica».

De Pascale in campagna elettorale aveva sfiorato il tema mafia, scrivendo nel suo programma elettorale di voler «creare un osservatorio contro questo fenomeno che interessa purtroppo anche il territorio ravennate e che la nostra coalizione difenderà con ogni forza e mezzo. La mafia al nord si occupa di smaltimento di rifiuti, pubblica amministrazione, gioco d’azzardo e altri settori compresi quelli dell’agroalimentare e del terziario. Per questo è fondamentale creare un tavolo/osservatorio pubblico che si confronti costantemente con i cittadini affinché il fenomeno della criminalità organizzata non abbia un facile radicamento. Proprio per questo l’osservatorio pubblico dovrebbe avere anche lo scopo di formare la cittadinanza nel riconoscimento dei fenomeni mafiosi. Una cittadinanza informata rende la città più sicura. Per quanto riguarda gli appalti pubblici è necessario monitorare che venga applicato quanto stabilito nel Protocollo sottoscritto nel 2020, escludendo ove possibile la modalità del massimo ribasso e coinvolgendo la parti sociali; monitorare l’applicazione dei CCNL per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata».

Come chiariva il Prefetto e come doveva ammettere il Sindaco, Ravenna e la sua provincia sono terreno di conquista per le mafie di ogni tipo. Le vicende delle interdittive antimafia che a suo tempo hanno arrestato l’appalto dei nuovi uffici comunali e che da anni si concentrano sull’appalto del nuovo palazzetto sono segnali chiari per chi voglia ascoltarli. E così i giri di scommesse clandestine, gioco d’azzardo e simili che periodicamente portano il nome di Ravenna sui giornali. Gli assalti agli sportelli bancomat, poi, sono diventati notizia di apertura fin troppo frequente per le mattine dei media online. Quanto al ciclo illegale del cemento, Ravenna si è rivelata una delle capitali regionali. O vogliamo parlare del settore balneare? O di quello agricolo? Giusto per limitarsi ad alcuni esempi.

Nonostante questo, nessun osservatorio è stato istituito dal Sindaco. Del resto, la vicenda del nostro Osservatorio sulla legalità e la sicurezza del lavoro, boicottato in ogni modo da de Pascale, qualche indizio sull’orientamento del Sindaco l’aveva dato. Neanche rispetto ai bandi, nonostante gli annunci, il Sindaco ha cambiato qualcosa. Di fatto, le Giunte di de Pascale continuano a comportarsi come quelle di chi l’ha preceduto: come se le mafie non potessero toccare il nostro territorio grazie a qualche potente magico amuleto. Peccato che nella nostra Regione, invece, sia pienamente operativo un “sistema integrato e radicato tra imprese, appalti e affari in cui operano le consorterie” con cui è indispensabile fare i conti. Sono le relazioni antimafia a certificarlo. E non saranno i complimenti rivolti da de Pascale al collega di Cesenatico, che ha appena testimoniato a Ravenna su quanto accadeva nel suo Comune, a cambiare le cose.”

Ravenna in Comune