“Uno dei fantasmi che la situazione di conflitto e di fuga delle madri con i figli dallo scenario della guerra in Ucraina è dato dall’ipotesi che la loro situazione evochi condizioni simili a quelle prodotte dagli effetti del disturbo post traumatico da stress.
Infatti, come ben si sa, tale disturbo è stato individuato e studiato nei soldati americani in Vietnam i cui commilitoni erano stati catturati, imprigionati e torturati dai nemici.
I minori e i genitori, in particolare le madri, sono stati testimoni di situazioni traumatizzanti e si può legittimamente chiedersi quanto siano esposti a sviluppare un assetto psicologico vicino al disturbo post traumatico da stress.
La realtà data dalle immagini e dalle notizie, che in queste settimane vengono fornite dai mass media, presentano una situazione più complessa in quanto l’assenza dei padri, rimasti a combattere, la presenza della solidarietà europea, la presenza di una attenzione alla accoglienza, per quanto possibile e, soprattutto, la presenza di una rilevante coesione sociale e partecipazione di solidarietà tende a mitigare quel sentimento di impotenza, di isolamento e la visione della distruzione delle cose e della realtà quotidiana, che questa guerra ha posto di fronte agli occhi in tutte le famiglie.
Riflettere sulla traumaticità della situazione vuol dire riflettere su una realtà complessa. Ovvero accanto alla oggettiva e pesante drammaticità della situazione e delle esperienze di fuga e di esilio, che sicuramente hanno colpito migliaia di famiglie e di nuclei familiari, per quanto riguarda la relazione tra genitori e bambini va valutata non solo in termini di attaccamento, ma in termini di ambiente emotivo, affettivo e culturale nel quale questi bambini ei loro genitori si stanno trovando a vivere.
Sicuramente è importante richiamare le modalità di attaccamento, ma è importante anche valutare la rappresentazione e la ricostruzione che le singole storie elaborano, giorno per giorno, nel far fronte a questa drammatica situazione. Certamente la sofferenza, la disperazione, la paura sono elementi che la coppia madre e bambino e la famiglia madre, padre e bambino stanno vivendo.
Nella letteratura psicopatologica e giuridica possiamo ritrovare alcune analogie con la violenza assistita, con la violenza subita, con il lutto per quanto è stato perso, ma non si può dimenticare che tutto questo avviene in una situazione dinamica nella quale giorno per giorno e direi anche ora per ora i bambini, insieme ai loro genitori, si trovano a riattivare reazioni utili per la loro sopravvivenza fisica, culturale e psicologica che dovrebbero rendere le valutazioni che inevitabilmente ciascuno di noi fa caute e rispettose delle modalità di reazione e di lotta per la propria sopravvivenza ed identità personale e sociale. Ricondurre facilmente il significato di quanto vissuto ad una o all’altra categoria rischia di appiattire e tradire la realtà che si sta sviluppando in queste persone.
Certamente e forse sembrerà banale l’accoglienza di queste situazioni più che presunzione di comprendere quanto vissuto richiede una estrema attenzione nell’ascolto e nel trarre delle conclusioni o delle indicazioni astratte teoriche nell’aiutare queste persone nelle cose da fare. Quanto si sta assistendo sempre all’interno delle comunicazioni mediatiche è caratterizzabile da un ulteriore rischio ovvero accanto alla oggettiva situazione di essere vittime di una violenza costante e gratuita si profila il problema che a questa violenza si associ un processo di vittimizzazione, che non può far altro che imporre un abito sociale e collettivo di vittima con l’effetto psicologico di sovrapporre e a volte schiacciare e svalorizzare lo sforzo di reazione e di salvaguardia della propria identità e capacità reattiva delle persone coinvolte in questa tragedia sociale. Come si può leggere nella letteratura questo aspetto è stato ripreso da tutti gli studi che cercano di valorizzare la capacità di resilienza mostrata dalle persone. Uno degli effetti comunque già riscontrabili e oggettivi, che sta colpendo le famiglie ucraine, è quello di trovarsi improvvisamente deprivati di quella privacy e pelle protettiva, che ogni famiglia tende a produrre al fine di preservare la propria identità, la propria storia e affermare una opacità allo sguardo degli altri della propria identità.
Questo processo di esposizione sociale e relazionale agli altri costituisce un’esperienza importante e caratterizzante i vissuti che i bambini hanno insieme agli adulti e che li unisce in questa esperienza di esposizione.”
Autrice: Francesca Siboni, psicologa clinica, psicoterapeuta psicoanalitico per bambini, adolescenti e famiglie, psicologa giuridico-forense