Pubblichiamo una “storia” scritta da Gianluca Benzoni che spinto da una vena nostalgica, ha voluto scrivere, popolata da nomi di fantasia ma ispirata a emozioni autentiche e vissute da cittadino

“Ravenna non è mai crollata. Ha fatto qualcosa di più sottile, più silenzioso: si è consumata. Lentamente, senza clamore. Come la ruggine che si prende il ferro, come le voci che smettono di farsi sentire.

Marco lo sapeva bene. Ogni mattina si alzava alla stessa ora, anche se non c’erano più sirene a scandire il turno. L’abitudine era rimasta l’unico orologio. La moka, gli scarponi sull’uscio, e quella chiave inglese infilata nel tascone del giubbotto: un gesto ripetuto da anni, ormai inutile. Ma anche la memoria ha bisogno di gesti. Arrivava fino alla sede dismessa della CMC, in periferia. Il cancello cigolava sotto il vento. Sopra, un logo nuovo, inglese, asciutto, senza identità, luccicava in controluce. Marco si sedeva sulla panchina in cemento, sempre quella, senza parlare. E guardava.

“Una volta da qui uscivano cento camion al giorno”, pensava… “Ora neanche l’ombra di un cane.”

Quella non era soltanto la sua storia. Era la storia di un’intera provincia che aveva smesso di crederci. Una Ravenna nata dal basso, con le cooperative, gli asili pieni di grembiuli, i cementifici dove si parlava di sicurezza e politica con la stessa passione. Oggi, tutto scoloriva. Senza cadere. Solo svanendo.

Nelle campagne di Bagnacavallo, le vigne resistono ma tacciono.

  • “A settembre non dormivamo per la vendemmia,” racconta Sara, giovane enologa tornata da Milano. “Ora servono macchine. E mancano le mani. Quelle vere, che sentivano l’uva ancora prima di raccoglierla.”

A Lugo, Letizia tiene viva una piccola cooperativa educativa. I fondi sono finiti, gli spazi non bastano. Ma ogni mattina accende la radio a volume basso e scalda le merende sul termosifone spento.

  • “Mi basta sapere che domani tornano. Anche se, a volte, il domani non sappiamo più come raggiungerlo.”

Al porto, i vecchi scaricatori sono ormai scomparsi. I container si muovono da soli, sospinti da droni e stagionali. Remo, ex meccanico diventato poeta urbano, legge versi vicino al molo:

  • “Ho scritto una poesia per ogni cosa che ho perso. Per ogni colosso di ferro diventato sabbia. Ravenna non crolla. Si consuma. In silenzio.”

Ad ascoltare, c’è Giulia. Figlia di Marco, cammina con passo leggero e un registratore che ha visto giorni migliori. Racconta una terra che si sta spegnendo senza far rumore. Entra nelle botteghe con la serranda a metà, nelle scuole vuote, nei borghi pieni di storie da salvare.

 “Papà, oggi ho parlato con una donna che lavorava allo zuccherificio. Mi ha detto che sente ancora il profumo del saccarosio nel sonno.”

Marco non rispose. Ma nei suoi occhi passò, per un istante, quella Ravenna che non tornerà più: le cooperative che davano pane e orgoglio, i bar del lunedì mattina, le edicole accese alle cinque. Poi si tolse la chiave inglese dal tascone e la posò a terra. Lenta, come si posa una reliquia su un altare abbandonato.

Qualche settimana dopo, Giulia tornò da sola… La panchina era vuota… La chiave, ancora lì. Una piccola croce muta nel cuore del cemento. Si sedette. E dopo un lungo silenzio, accese il microfono:

“Questa è la storia di una provincia che si è consumata senza rumore. Non è esplosa. Non è franata. È scomparsa a poco a poco. Ma ciò che si consuma, non si dimentica.”

Una pausa. Poi la voce si fece più ferma:

“A chi verrà, non serve restare immobili per ricordare. Serve camminare. Ma senza perdere le voci che ci hanno insegnato il passo.”

Spense il registratore. Lasciò la chiave lì, dov’era. E tornò a camminare. Verso un futuro fragile, sì. Ma con dentro tutta Ravenna. Anche quella che nessuno racconta più.”

Gianluca Benzoni