“Mi chiamo A.B. e ho 8 anni.
Sono una bambina come tante altre, ho sempre avuto una forza vitale incredibile con una lucentezza e dolcezza celata dietro i miei occhi scuri e profondi.
Fin dal nido d’infanzia volevo sempre raggiungere l’irraggiungibile e per questo andavo ovunque ed ero sempre piena di lividi, ma la mia continua ricerca e voglia di vivere continuava a farmi cadere anche nel cortile della materna, provocandomi tumefazioni
dalla caviglia alla coscia.
Mi si diceva che ero una bambina alta e che inciampavo spesso… ma nonsolo… comunicavo poco anche se sapevo esprimere molto di più di qualunque parola.
Continuavo a non esprimermi come i miei coetanei e da lì è incominciata la mia ricerca.
Il servizio sanitario locale mi considerava una bambina inibita e timida perché sbattevo le palpebre e dopo 1 anno dalla diagnosi (i tempi di attesa sono molto lunghi) inizio un primo percorso di logopedia sempre attraverso il servizio sanitario locale con tante difficoltà, perché intrapreso con una persona senza alcuna esperienza con bambini, con evidenti carenze di approccio sia con me che con chi mi accompagnava.
La mamma non era convinta e, come un guerriero pronto a combattere, ha incominciato a farmi visitare privatamente da un foniatra di fama nazionale, è risultato tutto a posto dal punto di vista fonetico e articolatorio, e dalla sua logopedista di fiducia che dopo alcune sedute ha notato solo alcune difficoltà di attenzione.
Sempre a pagamento sono arrivata a una logopedista specializzata nell’attenzione che dopo un paio di lezioni aveva notato una leggera assenza. Da lì si è accesa una lampadina e sconfortata dalla poca esperienza dei professionisti locali sono partita per Bologna, più precisamente all’ospedale S. Orsola di Bologna.
A fatica e dietro indicazione del S. Orsola sono riuscita a farmi prescrivere dal professionista che mi era stato assegnato dal Servizio Sanitario Locale, una richiesta per un elettroencefalogramma. Dall’esame sono risultate delle anomalie.
Da febbraio 2019, all’età di 6 anni sono risultata epilettica (con una epilessia diffusa in tutte le 24 ore del giorno). Sono seguita al S. Orsola da una professionista riconosciuta in ambito sia accademico che professionale, ma operando in un’altra città, non poteva prepararmi le pratiche per usufruire dei miei diritti. Pertanto, sono stata costretta a rivolgermi al servizio del territorio con ulteriori accertamenti.
Da febbraio fino ad agosto 2019 mi sono aggravata e il servizio del territorio aveva tutta la documentazione fornita dall’ospedale S. Orsola, ma non era sufficiente per stabilire un adeguato riconoscimento di ore di sostegno che si assegnano generalmente ad agosto prima dell’inizio dell’attività scolastica…
La prima settimana di scuola della prima elementare A. Torre non avevo il sostegno, la mia mamma aveva telefonato parecchie volte e aveva richiesto ad agosto anche un incontro con la Preside e il Corpo docente, ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Dopo la prima settimana di scuola finalmente ho il sostegno…solo 9 ore su 26… divise per due insegnanti in deroga che l’anno successivo non sarebbero neanche rimaste…
Continuo ad aggravarmi, perdo 5 kg in un mese, le mie anomalie cerebrali aumentano, cambio farmaci con frequenza, le maestre dicevano che andava tutto bene e che mangiavo a scuola (mentendo ai miei genitori)… facevo fatica ad esprimermi, avevo diversi black out ogni giorno riscontrabili dal battito delle mie palpebre e avevo delle perdite di tono muscolare che provocavano la caduta della testa, delle braccia e delle gambe… ma le maestre continuavano a dire che era tutto a posto.
Finalmente la mamma ottiene un incontro a novembre con le maestre spiegando loro la patologia… ma nel tempo continuavano a non voler capire chi fossi, i miei limiti e i miei bisogni… Avevo bisogno di più sostegno che la scuola non mi dava nonostante la richiesta… chiediamo aiuto al Comune e otteniamo qualche ora in più, ma erano comunque tante quelle ore in cui non ero coperta dal sostegno.
Nel frattempo, la mia condizione clinica peggiora, la scuola non voleva vederlo e l’Ausl nonostante avesse delle relazioni puntuali dei controlli che facevo al S. Orsola di Bologna non comunicava l’aggravamento all’INPS che sarebbe stata l’unica strada per ottenere più ore di sostegno a scuola.
Nell’estate le mie condizioni peggiorano e vengo ricoverata. Mi aggiungono dei farmaci oltre a quelli che prendo potentissimi antiepilettici ma risulto farmacoresistente ciò significa che sarò costretta a cambiare farmaci tutte le volte che perdono di efficacia.
Parlo poco con frasi semplici di al massimo 4 parole, leggo pochissime parole bisillabiche e riesco a contare solo con dei supporti.
Visto che non ho potere della parola spesso faccio degli urli per attirare l’attenzione soprattutto a casa, dopo una influenza anche piccola, passo dei giorni senza mangiare e quando riprendo, prediligo cibi poco sani. Ho bisogno sempre di qualcuno con me. La notte indosso una mutanda contenitiva poiché la mia malattia potrebbe non farmi sentire il bisogno di andare in bagno.
Nel 2020 in pieno lock-down, ritorno in ospedale per un’infezione polmonare (per fortuna non Covid-19), riprendo la varicella una seconda volta, infine, un’influenza intestinale che mi costringe nuovamente a ritornare in ospedale perché non riesco ad assumere e trattenere i miei farmaci antiepilettici.
Durante il mio primo ricovero in ospedale mi fanno un prelievo di sangue assieme ai miei genitori, per fare delle analisi genetiche. Dopo 20 mesi di lunga attesa, arriva l’esito. Purtroppo, però il numero di geni controllato è talmente limitato che non si riescono a trarre delle diagnosi.
A fronte di questa diagnosi mancata i miei genitori non si perdono d’animo e riescono durante il terzo lockdown a prendere le provette del nostro sangue appositamente trattate per le analisi genetiche e spedirle in un ospedale a Copenaghen dove ci promettono di fare un controllo genetico molto più ampio.
Dopo altri tre mesi di attesa, ci chiamano dall’ospedale di Copenaghen e spiegano ai miei genitori che ho una malattia rara. Si chiama NEXMIF (porta il nome del gene alterato), ci dicono che in tutto il mondo ci sono solo circa 70 casi di femmine ed altri 50 circa di maschi. Questa sindrome ha i sintomi dell’epilessia farmacoresistente, disturbi comportamentali, in alcuni casi autismo, deformazione facciale e problematiche nella deambulazione; in altri casi (come il mio) mioclonie palpebrali (cioè sbatto frequentemente le palpebre), mioatonie quotidiane (cioè perdo frequentemente il tono muscolare), problemi di enuresi (cioè durante il sonno non sento lo stimolo dei miei bisogni) e ritardo cognitivo. Diagnosticatala malattia rara, ecco che l’AUSL si attiva per comunicare l’aggravamento all’INPS e per fortuna ora ho più ore di sostegno e anche più disponibilità da parte della scuola a seguirmi.
Una cosa che ho imparato è che sono le persone giuste a fare il cambiamento.
È bastata una neuropsichiatra territoriale nuova e un responsabile della disabilità all’interno della mia scuola più sensibile all’inclusione a far sì che io potessi avere più aiuto, ma ci sono voluti 2 anni.
Ora ho 8 anni ma il mio ritardo cognitivo in alcuni casi può essere ricondotto a quello di una bambina di 5 anni o anche meno.
A scuola i miei compagni e le mie mastre mi vogliono bene, mi aiutano ad integrarmi e a farmi sentire come gli altri, ma purtroppo non ho amiche e fuori della scuola non riesco a socializzare con altri bambini della mia età.
Faccio psicomotricità e logopedia da almeno 4 anni ed ho iniziato a novembre 2021 a fare equitazione integrata al CIR poiché mi hanno regalato un pacchetto di lezioni.
L’equitazione integrata so che è consigliata dallo stesso personale sanitario come terapia utile al miglioramento della condizione clinica per le persone diversamente abili.
Che bello, non vedo l’ora! Vado con i miei genitori e compro tutto il necessario.
Incomincio a praticare l’equitazione, amo gli animali e sto bene. Vado al CIR solo il sabato alle 11,00. L’orario lo abbiamo stabilito con l’insegnante ed è perfettamente compatibile con il mio stato di salute: vado in crisi vicino all’ora del pranzo, della cena, della merenda e non dormendo bene a causa delle anomalie cerebrali notturne, faccio fatica ad alzarmi la mattina presto. Sono contentissima, non vedo l’ora che arrivi il sabato per andare a cavallo. Poi però succede che per 2 volte l’insegnante non c’era, ma non c’era nemmeno un sostituto.
Un’altra volta mi hanno chiesto di andare un’ora dopo, dove sono andata in crisi alla fine perché si avvicinava l’ora di pranzo. Poi a gennaio 2022 mi sono ammalata e ho preso il COVID e per tre sabati non sono riuscita ad andare a equitazione integrata.
Guarita e pronta a ripartire, l’insegnante di equitazione chiama mia mamma dicendole che l’orario delle 11 non era più disponibile perché ero stata assente troppo tempo e la mia ora era stata assegnata a qualcun altro, ma non disabile.
Mi si è raggelato il sangue, non capivo, ero confusa, sono andata in crisi. Io volevo rivedere il mio cavallo, mi ero affezionata all’insegnante.
La mia mamma ha sollevato il problema sia con l’insegnante Dominique che giustificava la cosa dicendo che il CIR aveva deciso così e non poteva farci più nulla. Le propone di farmi andare alle 8,30 di mattina nelle fredde giornate di febbraio, in pieno inverno???? Da non credere, costringendomi alla fatica di alzarmi il sabato mattina prima di quanto non faccio durante la settimana per andare a scuola.
Mia mamma riesce a parlare con il Presidente del CIR. Le dice che non era informato di quanto accaduto e successivamente la fa chiamare dall’insegnante, che le dice di pazientare: dopo l’inverno si poteva fare lezione fuori all’aperto e non ci sarebbero stati più problemi. L‘insegnante propone a mia mamma di rivolgersi in alternativa ad un altro centro dove lei lavora. Ma io volevo rivedere Gilli, il mio cavallo del CIR.
Dopo la mia guarigione dal Covid avvenuta a fine gennaio 2021 non c’è giorno che passi che non chieda alla mamma di poter tornare a fare equitazione integrata.La mamma ha sollecitato più volte, ma marzo e aprile sono passati, senza nessuna proposta.
Quanto tempo dovrà ancora passare? Forse mi chiameranno quest’estate quando tutti andranno in vacanza al mare e quando farà talmente caldo che si farà fatica anche a respirare.
Ancora una volta una battaglia, una mancanza di considerazione, una discriminazione nei miei confronti, per motivi che alla gente “normale” risultano futili …“tanto cosa vuoi che capisca, si deve adeguare non ha altre possibilità”.Sì,la mamma poteva mandarmi altrove, ma ha voluto SPERARE in un cenno di umanità che non è più arrivato.
Vogliamo dare fiducia alla gente, ma la realtà è che noi diversamente abili con tutto il dolore nostro e delle nostre famiglie che combattono ogni giorno per farci stare al meglio di quello che possono, è AMARA e anche in questo caso dove lo SPORT dovrebbe essere INTEGRAZIONE non lo è perché sono le persone giuste che possono eliminare le differenze e propagare l’uguaglianza.
Se viene offerto un certo tipo di servizio, chi lo mette in moto deve essere in grado comprendere cos’è la disabilità e soprattutto di comprendere le nostre necessità. Io con la mia epilessia farmacoresistente, dovrei essere seguita da due insegnanti uno che dirige il cavallo e l’altro che stia attento che io non cada…. ma non è sempre stato così e soprattutto se l’insegnante annulla la lezione dovrebbe avere un sostituto che garantisca l’ora al disabile perché lui se lo aspetta, perché lo fa stare bene, ma soprattutto perché potrebbe destabilizzarlo dal punto di vista emotivo.
Vorrei che la mia voce potesse essere ascoltata affinché si possa abbattere sempre di più il muro dell’indifferenza e della disuguaglianza.
Sono una bambina come tanti altri.
Mi chiamo A.B. e ho 8 anni.”