La Corte d’Appello di Bologna ha chiesto di risentire due testimoni in merito al metadone che uccise lo studente 19enne Matteo ‘Balla’ Ballardini il 12 aprile 2017 a Lugo, dopo diverse ore di agonia.
Si tratta dell’allora direttrice delle dipendenze patologiche di Ravenna e di un dirigente medico dello stesso settore.
Tre le imputate, tutte assolte il 17 marzo 2022 dal Tribunale di Ravenna “perché i fatti non sussistono”.
Oltre alla giovane amica che aveva fornito lo stupefacente al 19enne (avvocato Fabrizio Capucci), in concorso figurano la zia nel ruolo di intermediaria (sempre avvocato Capucci) e una dottoressa del Sert (avvocati Alessandra Marinelli e Sandra Vannucci). L’Ausl Romagna è costituita parte civile con l’avvocato Valerio Girani.
Tre le imputazioni: falso, prescrizione abusiva di stupefacenti e peculato. Le indagini della polizia si erano focalizzate sulla gestione del metadone perché durante l’inchiesta principale sulla morte di Ballardini, era emerso che la giovane amica, figlia di due infermieri e nipote di un medico in servizio in strutture sanitarie regionali, poteva disporre di un “quantitativo di metadone spropositato”, compreso il flaconcino trovato vicino al corpo del 19enne.
In un messaggio Whatsapp scambiato con Ballardini poco prima della morte, la giovane aveva affermato: “Il metadone ne ho quantità industriali”. Gli inquirenti avevano elencato possibili anomalie, a partire dal fatto che la ragazza “fosse stata presa in carico dal Sert di un comune diverso da quello di residenza”.
Ma pure che il suo caso non fosse “mai stato condiviso tra colleghi”; che le fosse “stato garantito un super-anonimato” a cui lei non aveva formalmente dato consenso; che la maggior parte delle volte a ritirare i farmaci fosse la zia, ex dirigente infermieristico all’Asl di Imola, e senza formale delega. Contro l’assoluzione, avevano fatto ricorso i Pm Daniele Barberini e Marilù Gattelli.
fonte Ansa
























































