Al MIDeC, Palazzo Perabò 5, a Cerro di Laveno Mombello, dal 15 luglio al 16 settembre 2018, si terrà una mostra dedicata a Carlo Zauli, curata da Matteo Zauli, e una seconda esposizione, La caducità, curata dalla faentina Irene Biolchini. 

La mostra a Laveno Mombello focalizza la personalità di Carlo Zauli (Faenza, 1926 – 2002) quale artista di riferimento nella scultura in ceramica del secondo Novecento.
Per la prima volta la figura di Zauli sarà indagata ponendo l’accento sugli elementi di dialogo tra la propria ricerca scultorea, per la quale egli è maggiormente conosciuto, e il design, nel quale si è cimentato per oltre trent’anni, fondando, tra le altre cose, un’azienda di piastrelle di riferimento internazionale negli anni ‘60 – ‘70 ed ‘80: “LaFaenza”.
Vasi e sculture in ceramica, spesso rivestiti con il celebre smalto “bianco Zauli”, piastrelle d’epoca, disegni preparatori, piccole sculture in edizione limitata, rare fotografie di mobili e complementi d’arredo disegnati dall’artista faentino comporranno così un singolare progetto di mostra che si pone come un unicum assoluto nella propria vicenda espositiva.
Una mostra che ci restituisce per la prima volta quella eterogeneità che caratterizzava Zauli, la cui ricerca spazia tra la scultura, la grafica, l’architettura – con la quale le sue opere sono spesso nate in dialogo – e la progettazione oggettuale che lo portò a realizzare non soltanto pavimenti e rivestimenti per la storica “LaFaenza”, ma vasi per la Rosenthal e mobili autoprodotti.
Un sistema di forme espressive che ruotavano tutte attorno alla propria ricerca oggettuale e scultorea, ed alla storica bottega-studio in via della Croce, luogo nel quale già prima di lui si producevano ceramiche d’arte e che oggi è diventato il Museo Carlo Zauli.
Attorno al rapporto dialogico struttura – natura che caratterizzava fin dai primi anni ‘60 il proprio linguaggio, fiorivano così in un clima di massima condivisione e di lavoro d’equipe – come da tradizione delle grandi botteghe rinascimentali –  lavori monumentali, vasi sconvolti, piccole sculture in edizione limitate, linee grafiche per pavimenti e rivestimenti, oggetti di arredo che portavano tutti con sé il respiro della grande scultura.

LA CADUCITÁ
Accettare la caducità degli oggetti significa accettarne la fine, la distruzione, il dolore. E questo perché, come scrive Freud già nel 1915, molto presto l’essere umano sposta la propria libido dall’Io interiore verso gli oggetti. Ed è solo quando questi oggetti si distruggono, si frantumano, che possiamo vivere il lutto e la perdita ritornando al nostro io, essendo nuovamente liberi: liberi di amare nuovi oggetti.
Vi è dunque nel frammento decomposto la forza del passaggio tra l’oggetto amato e il ritorno al sé: è il frammento, quella porzione rimanente di ciò che è stato a dirci qualcosa di noi, ad aiutarci a definire ciò che saremo, a permetterci di definire la nostra identità sulle macerie di ciò che era. E sono proprio queste considerazioni ad aprire alla mostra di questo oggi, un percorso antologico tra tre diverse generazioni di artisti italiani che lavorano con la ceramica e che dal frammento ripartono nel tentativo di proporre una rappresentazione del sé, una narrazione che passa sempre dalla rimanenza, dalla porzione, per proporre solo visioni parziali. Scorci attraverso i quali arrivare all’interezza della persona.
I lavori presenti in mostra ci parlano di oggetti quotidiani, proprio per questo ancora più perturbanti una volta esposti nella loro frammentarietà. In un processo di auto-ritratto (i resti del calco della mano esplosa di Loredana Longo o nella ‘testa’ di Deodato e nei corpi di Nero/Alessandro Neretti), di ritorno alle origini antropologiche e familiari (i frammenti degli strumenti agricoli proposti da Marco Maria Zanin, nei servizi decomposti di Polloniato), di ri-definizione dei sensi (nelle forme geometriche reinterpretate tramite il solo tatto di Laura Pugno), di archeologia del quotidiano (come nel caso di Ornaghi e Prestinari), di ricostruzione di gesti arcaici e simboli (nella scala parziale di Silvia Camporesi, nella principessa di Cabiati, nei tessuti rimaneggiati di Marcella Vanzo). Il rapporto con la natura – dopo tutto è proprio la visione di un meraviglioso campo fiorito a suggerire a Freud le riflessioni sulla caducità – si inserisce in questa riflessione dando vita ad una serie di lavori in cui i temi vegetali diventano il controcanto dell’Io dell’artista (come nel caso di Alessandro Roma o di Valentina d’Accardi).
Questo percorso si snoda all’interno degli splendidi spazi del museo di Laveno Mombello, che ha nella forza della sua storia proprio la produzione di straordinari oggetti per l’arredo domestico e l’uso quotidiano. Da quella storia, dai frammenti di una quotidianità, parte la mostra di oggi che, come tutti i viaggi all’interno della psiche non permette di trarre conclusioni certe o bilanci, ma solo una maggiore consapevolezza rispetto a chi eravamo. Nella speranza di amare ancora nuovi oggetti, sapendo che ogni caducità porta ad una rigenerazione e a nuovi desideri.