“A Ravenna, pochi giorni fa, l’intero quartiere dello stadio Benelli è stato blindato, per prevenire scontri fra tifosi, in occasione della partita di Coppa Italia fra il Ravenna e il Rimini. Peccato che la Questura avesse vietato l’accesso allo stadio ai tifosi biancorossi e che nessun tifoso e nessuna persona residente nella provincia di Rimini si sarebbe quindi potuta sedere sulle scalinate dello stadio di Ravenna. Ora accade che nessun tifoso del Ravenna potrà seguire la squadra giallorossa in quel di Livorno domenica 16 novembre, perché la Questura è preoccupata che il “gemellaggio” fra i tifosi del Ravenna e quelli della Lucchese possa scatenare le ire dei tifosi amaranto, notoriamente ostili ai tifosi rossoneri di Lucca. Una decisione incomprensibile che viene venduta come atto di prevenzione contro atti di violenza che potrebbero coinvolgere i tifosi più accesi ed esagitati. Le Questure di tutta Italia, fra le quali quella di Ravenna è sicuramente la più solerte, tendono ormai ad impedire le trasferte ai tifosi, nonostante la sottoscrizione a pagamento di una Fidelity Card e nonostante i biglietti siano tutti nominativi. Coloro che non sono appassionati di calcio non possono capire che questi provvedimenti colpiscono non tanto i gruppi ultras ma la libertà stessa dei cittadini.
Un nonno (non un ultras) di Ravenna che volesse, ad esempio, accompagnare i nipotini al Morgagni di Forlì per assistere al derby, non lo può fare se la Questura decide di vietare la trasferta ai cittadini ravennati, indipendentemente dal fatto che siano ultras o non ultras. Se la carta di identità dice che risiedi a Ravenna e la Questura ha deciso che un ravennate non può seguire la squadra a Forlì, per quel ravennate (sia esso un semplice tifoso, un ultras, un pacifico padre di famiglia che vuole accompagnare il figlio allo stadio, oppure il già citato nonno che vuole portare i nipotini alla partita) sarà tutto inutile. Allo stadio non si entra perché, se la carta di identità dice che sei nato a Ravenna, tu non puoi entrare allo stadio di Forlì se la Questura è questo che ha deciso. Queste decisioni delle Questure italiane stanno impedendo la libera circolazione in tutta Italia, non solo degli ultras ma, anche e soprattutto, di migliaia e migliaia di cittadini onesti e pacifici che vorrebbero solo seguire la propria squadra anche in trasferta.
Ovviamente nelle serie inferiori le Questure sono spietate perché è notoriamente facile fare i forti con i deboli. In serie A, dove le tifoserie organizzate sono numericamente ben più numerose e hanno preso possesso delle curve, le cose sono, invece, ben diverse. Nonostante sia stato spesso dimostrato il coinvolgimento del tifo organizzato in affari illeciti e poco puliti, la tolleranza è molto maggiore benché siano stati dimostrati e più volte denunciati ricatti e pressioni sulle società. I diritti TV, gli sponsor, il business delle Pay TV e dei diritti televisivi, le partite del campionato italiano trasmesse all’estero, impongono che le immagini delle curve debbano essere accattivanti e sfavillanti. In serie A le curve devono sempre essere inquadrate colorate, gremite e ribollenti di tifo e non desolatamente vuote, perché gli spalti vuoti non fanno business e non attirano gli sponsor.
Forti con i deboli in serie C e deboli con i forti in serie A, dunque, ma c’è di più. Il voler vietare le libere trasferte per prevenire scontri fra ultras è anche un modo per sperimentare come limitare le libertà individuali dei cittadini. Si schedano i tifosi allo stadio come si controllano i presidi nelle fabbriche e nelle manifestazioni politiche. Sempre con la scusa di volere evitare le violenze di qualche facinoroso presente fra le migliaia di manifestanti, si cerca di limitare il numero delle manifestazioni e di ridurre la possibilità di poter esprimere nelle stesse il proprio pensiero e la propria parola. Una deriva autoritaria che, con la scusa di garantire più sicurezza ai cittadini, vuole limitare e non certo solo nel calcio, la libertà di esprimere il proprio pensiero e le proprie idee.
Meno trasferte, meno manifestazioni scomode, più schedature: i primi passi per una deriva autoritaria che viene perseguita da un sistema politico ed economico che vuole i cittadini ridotti a soldatini obbedienti a cui insegnare come tifare, come manifestare, come protestare ed anche cosa acquistare, pensare ed ancora come decidere su cosa sia giusto e su cosa sia sbagliato. Un mondo in cui i pochi che hanno tutto o quasi tutto possono controllare i molti che hanno niente o quasi niente.
Ravenna in Comune si unisce alle richieste di chi chiede un’applicazione delle misure di controllo delle tifoserie violente che non violi sistematicamente e, spesso, immotivatamente, i diritti di circolazione di chi risiede in prossimità dello Stadio. Chiede altresì che non sia normale ma eccezionale il divieto di accedere alle partite in trasferta da parte di chi ha l’unica colpa di risiedere a Ravenna. Domanda, a questo proposito, all’Amministrazione cittadina di adottare le limitazioni della libertà di circolazione solo in presenza di motivate ed eccezionali esigenze di sicurezza da accertare volta a volta. Domanda, infine, al Sindaco di intervenire presso la Questura affinché il divieto di trasferta sportiva sia eccezione e non regola.
Parafrasando il noto testo di Martin Niemöller, evitiamo che accada di nuovo che si debba dire «Prima limitarono i diritti degli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi toccò agli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi fu la volta degli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Capitò anche ai comunisti, ma non dissi niente, perché non ero comunista. Poi toccò ai tifosi, ma tanto io non ero un tifoso. Un giorno fui io a subire divieti di ogni tipo ma non c’era rimasto nessuno a protestare».”

























































