“La strage del Sinnai è avvenuta in Sardegna l’8 gennaio 1991. Furono uccise tre persone ed un’altra rimase gravemente ferita. La Giustizia con la G maiuscola condannò all’ergastolo per gli omicidi Beniamino Zuncheddu. Dopo 33 anni passati in carcere è stata riconosciuta la sua non colpevolezza «per non aver commesso il fatto». Il testimone, l’unico sopravvissuto alla strage, aveva affermato di averlo riconosciuto ma il riconoscimento, risultato solo ora errato, era stato indotto da chi lo aveva interrogato, indirizzando il riconoscimento verso il supposto assassino, in realtà estraneo ai fatti.

Beniamino Zuncheddu ha passato in carcere la maggior parte della sua vita (all’epoca della strage era un pastore di 27 anni). Se il nostro sistema penale prevedesse la condanna a morte, presumibilmente ora sarebbe morto. In 30 anni il nostro sistema giudiziario ha inflitto ingiusta detenzione a circa 30mila persone. Più esattamente dal 1991 al 2022 i casi sono stati 30.778. Tutte persone incarcerate benché innocenti, come poi riconosciuto nel prosieguo della procedura giudiziale. 222 invece, come Beniamino Zuncheddu, sono state riconosciute innocenti solo dopo una revisione del processo, dopo che già erano state condannate in via definitiva. In indennizzi e risarcimenti in 30 anni si arriva a quasi un miliardo (932.937.000 euro). Ma, ovviamente, il valore della vita ingiustamente perduta tra le sbarre non può trovare una reale compensazione monetaria.

«Se è finito dentro qualcosa avrà fatto» è una frase sentita molte volte. Ci sono almeno un migliaio di ragioni ogni anno che conducono a dire che non è vero. Se poi si considera quanto in basso generalmente si trovava, rispetto ai gradini della scala sociale, chi è finito in carcere, il quadro diventa completo. La giustizia è amministrata in nome del popolo ma, per lo più, solo al popolo l’ingiustizia è riservata.

E, a questo proposito, diventa urgente ottenere chiarezza sull’arresto di due ragazzini in Piazza San Francesco nell’ambito di un intervento della polizia municipale avvenuto venerdì nella nostra distratta e sonnacchiosa Città «per disturbo alla pubblica quiete, con l’aggravante di essere all’interno della “zona del silenzio”». Le versioni dell’accaduto date alla stampa sono tra loro divergenti ma il video diffuso in rete supporta l’analisi esposta da Potere al Popolo: «Il fatto gravissimo è sintomatico e si lega a nostro avviso a un clima di repressione voluto e cercato, ovunque e per qualsiasi motivo». Poiché «Contattato telefonicamente, il Comandante della Polizia Locale Andrea Giacomini ha sottolineato come gli agenti intervenuti abbiano operato correttamente», come Ravenna in Comune chiediamo sia data analoga diffusione delle riprese effettuate «dalle telecamere di videosorveglianza e dalle bodycam degli agenti in servizio». L’invito all’Amministrazione Comunale è quello di non alimentare la percezione sempre più diffusa che, anche a Ravenna, la bilancia della Giustizia penda sempre e solo dalla stessa parte.”

Ravenna in Comune