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“Commemorazioni solenni come quelle del gerarca fascista Muti sono in concreto idonee a provocare adesioni e consensi alla ricostituzione di un partito fascista. Questa è pure aggravata dalla roboante chiamata “presente” fra gli astanti, giuridicamente classificata “usuale manifestazione pubblica tipica del partito fascista”, pertanto ascrivibile al reato di apologia del fascismo.

Tale è l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione, richiamante anche le sentenze n. 1/57 e n. 74/58 della Corte Costituzionale.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 13843/18 ha esplicitato: “se in quanto rivolte in mere commemorazioni, le manifestazioni fasciste venissero considerate legittime si rischierebbe una interpretazione surrettizia abrogativa della norma ritenuta più volte legittima dalla Corte Costituzionale (cioè la Legge Scelba del 1952) e dell’art. 10 della Convenzione europea che prevede limitazioni delle libertà d’espressione per fini democratici.

Ciò che i neofascisti nella loro smania negazionista, revisionista, revanscista aborrono.

Una tale celebrazione di un gerarca che non è più sepolto nel cimitero non è un innocuo e pietoso ricordo: per fare ciò vadano eventualmente nel cimitero dove riposa realmente.

In realtà, si tratta dell’esaltazione consapevole, preordinata e dolosa in Ravenna della figura del gerarca fascista Muti e del momento storico che rappresentò.

Esaltazione dichiarata dai promotori affermanti: “lottò per la patria”, cioè quella fascista che infiniti lutti portò all’Italia.

Inoltre, ai sensi della citata sentenza del Tribunale milanese, in tale celebrazione vi è “l’idoneità della condotta esaltativa ad adesioni e consensi favorevoli e perciò il pericolo di riorganizzazione di formazioni di stampo fascista”: prova ne sia che alcuni degli organizzatori presenti sono esponenti di partiti o movimenti di chiara ispirazione neofascista.

L’apologia del fascismo è reato di cosiddetto pericolo, per la cui integrazione è sufficiente la messa in pericolo della stabilità dell’ordine democratico della Repubblica.

La Corte Costituzionale dichiarò (n. 1/1957, n. 74/1958, n. 15/1973) la fondatezza costituzionale della Legge Scelba, da noi richiamata, perché non viola l’art. 21 della Costituzione.

L’apologia del fascismo come reato di pericolo concreto neutralizza il rischio di criminalizzazione del mero dissenso ideologico e politico.

Le citazioni di giurisprudenza potrebbero continuare.

Ci auguriamo di poterlo fare in Tribunale a Ravenna dopo ci accingiamo a presentare un altro esposto, per il quale la raccolta di firme è già aperta da oggi.

Considerato quanto è successo ieri, vicino al cimitero, si ribadisce dissenso verso questa gestione dell’ordine democratico.

Non risulterebbe, fino a prova contraria, l’esecuzione da parte delle forze dell’ordine presenti d’ alcuna identificazione né di sanzione di manifestanti in chiara violazione del Regolamento comunale, né alcuna diffida ai medesimi dal commettere reato d’apologia di fascismo,  né identificazione dei medesimi ex post. “