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“Terminati i tempi in cui una classe politica attenta, coadiuvata da illustri studiosi ed urbanisti – vanto della nostra Regione – e da una pianificazione pubblica tenuta in grande considerazione, proponeva la riqualificazione delle aree industriali dimesse non per banale sostituzione edilizia, ma con il recupero dell’esistente, conservando sia la memoria dei luoghi e della fatica – e spesso della vita – dei lavoratori, sia le architetture industriali, “povere” ma ricche di cura nell’esecuzione e di soluzioni ingegneristiche innovative.
Dagli anni 80 ai primi anni 2000 furono prodotte importanti pubblicazioni e la legge regionale 19/98, per la riqualificazione delle aree urbane in Emilia Romagna. La stessa attenzione veniva riservata al patrimonio storico e tipologico edilizio cosiddetto “minore”, dei centri urbani storici e delle campagne. Grazie alle scelte di allora, un patrimonio è stato tramandato fino ai giorni nostri. Ora le nuove leggi virano verso l’“urbanistica contrattata”, depotenziando il ruolo del pubblico a favore del privato, dove tutto viene fagocitato nella spasmodica concezione “usa e getta” e del massimo profitto propria del consumismo, e anche la cura e la tutela dall’edilizia storica, che riveste un valore non solo di bene pubblico o privato, ma anche collettivo ed identitario, va verso la polverizzazione. Sempre più abbattimenti nelle città e nelle campagne. Praticamente, a Ravenna, nessun progetto pubblico con fondi PNRR ha previsto il recupero di edifici storici”.

La critica arriva dalla sezione di Ravenna di Italia Nostra. I riferimenti recenti sono le torri di raffreddamento dell’ex Sarom “nonostante il PUG le classificasse come ‘straordinari monumenti di archeologia industriale’ ‘camini sonori da recuperare e valorizzare’ e ne prevedesse la conservazione per un uso culturale collettivo, e del tanto sbandierato campo fotovoltaico per cui andavano abbattute con urgenza, ovviamente non si è visto nulla.”

Oppure le ottocentesche officine del gas ex Amga: “Assistiamo alla demolizione del camino e dei muri di cinta – azione peraltro normalmente non consentita dai regolamenti urbanistici”

“E tranquillamente si dichiara, dopo decenni di annunci, che la bellissima settecentesca ‘Fabbrica Vecchia’, ridotta in condizioni pietose, non verrà recuperata dall’Autorità Portuale”.

“Lo stesso accade per la colonia Varese a Milano Marittima, anch’essa tenuta lungamente in mano dalla Regione, inerte. Stessa fine per gli edifici della Darsena tutelati dal Ministero della Cultura, quali il magazzino ligneo cosiddetto 9 della ex Montecatini, di quasi cento anni, ridotto uno scheletro sotto le intemperie, e lo straordinario magazzino a copertura parabolica ex SIR. Arduo pensare, in questo caso, che la proprietà (o comproprietà), riconducibile al più grande colosso della grande distribuzione italiana, con fatturati multimiliardari, abbia difficoltà ad agire. Inaccettabili, poi, le esternazioni dell’amministratore delegato che circa un anno fa, in occasione della triste vicenda torri Hamon, dichiarava di non comprendere il vincolo di tutela, quasi a dire, presumibilmente, di non comprendere la legge. Legge che prevede, se le istituzioni agissero, che il detentore, pubblico o privato, di un bene tutelato, sia obbligato al mantenimento dello stesso in buone condizioni (art. 30 del Codice dei Beni Culturali). Ma su questo nessuno si espone, né il Comune esorta i privati, ed anzi, per la Darsena parte il solito ritornello “ma si tratta di quasi tutte aree private…”.