In merito  alle dichiarazioni  della Uil riportate oggi dalla stampa, che suggeriscono il ritorno alla creazione dei “reparti Covid”, la Direzione Generale di Ausl Romagna, dissente da tale impostazione,  ritenendola impropria rispetto alle caratteristiche dell’attuale fase epidemica e ostacolante un’assistenza ospedaliera pertinente e specifica ai bisogni di salute che determinano il ricovero: “Infatti, è innegabile che da un punto di vista epidemiologico, stiamo assistendo ad un significativo aumento del numero dei casi , anche sul nostro territorio, come su tutto il territorio nazionale, legati  alla cosidetta variante Omicron BA.5.  Lo documentano  i dati giornalieri che puntualmente vengono riassunti e commentati sul nostro bollettino settimanale aziendale. A cui però, a differenza del passato, non corrisponde lo stesso impatto , in termini di ricoveri ospedalieri. Attualmente presso il presidio ospedaliero di Ravenna sono presenti circa 50 pazienti covid +, a fronte di  una dotazione complessiva del presidio  pari a 563 posti letto. Questa la prima peculiarità. La seconda, ancora più evidente è data dal diverso bisogno in termini assistenziali degli attuali pazienti ricoverati, rispetto a quelli  delle ondate precedenti. Elementi , che presi  insieme , sono alla base delle scelte organizzative/logistiche adottate dall’Azienda. Ancora più nel merito.

Anche in presenza di un aumento di ricoveri, in questa fase, non si ha una proporzionale necessità di gestire pazienti con insufficienza respiratoria in terapia subintensiva e terapia intensiva come nelle ondate precedenti, questo grazie all’immunità (che i pazienti hanno acquisito con la vaccinazione, la malattia o entrambe) che è in grado di prevenire in larga parte la malattia grave” sottolinea l’Ausl.

“La maggior parte dei pazienti ricoverati adesso, accede per motivi diversi, tra cui la riacutizzazione di malattie croniche, traumi, fratture, malattie acute di ambito specialistico. Ne consegue che l’allocazione appropriata in regime di ricovero deve essere prioritariamente e prevalentemente determinata sulla base delle necessità assistenziali e non dalla eventuale positività di SARS-CoV-2. Per queste ragioni si è proceduto in due direzioni complementari: da una parte l’individuazione dei reparti che devono garantire assistenza a pazienti con COVID-19 in cui la sintomatologia prevalente è caratterizzata da interessamento polmonare (Malattie infettive, Pneumologia e Terapia Intensiva) e, dall’altra a privilegiare il principio del bisogno assistenziale primario del paziente,  per assicurare la risposta più appropriata al suo percorsodi cura. Questo modello ha l’obiettivo di garantire ad un malato che ad esempio entra in ospedale per una frattura di femore, di avere la garanzia di un percorso idoneo a prescindere dal rilievo della sua positività all’ingresso in ospedale. Le classiche “bolle” all’interno dei reparti di cui si è parlato a lungo. La concentrazione dei malati COVID in aree dedicate, come suggerisce la Uil,  avevano senso in un periodo in cui i pazienti presentavano in prevalenza problemi di insufficienza respiratoria; le esigenze sono attualmente cambiate e i malati con infezione da SARS CoV-2 possono avere una polmonite, un infarto del miocardio, un diabete scompensato etc.. e devono essere presi in carico dagli specialisti di riferimento.

Infine per ciò che riguarda la sicurezza degli operatori e dei pazienti ricoverati, i dati del bollettino aziendale settimanale non evidenziano segnali di allarme, infatti la percentuale degli operatori sanitari positivi sul numero totale dei nuovi casi, rimane costante tra il 2 e il 2.5 % e il numero dei focolai all’interno delle strutture ospedaliere non ha subito alcun aumento, nonostante  in queste settimane l’incidenza territoriale stia aumentando esponenzialmente, segno indiretto che l’ospedale non è un luogo dove si acquisisce l’infezione in misura maggiore rispetto al territorio, ma il contrario”.