“Il direttore del Pronto Soccorso di Ravenna ha recentemente preso in esame la situazione del suo servizio oltre a lanciare un forte appello a tutte le forze politiche. I ‘mali’ che gravano su tale servizio in realtà sono di vario genere. Mancano i medici e il personale sanitario, ma vanno create anche le condizioni ambientali e logistico strutturali, oltreché  organizzative con turni di lavoro normali se si vuole rendere appetibile il posto di lavoro. Oggi non esiste nessuno di questi presupposti per potere aspirare a incarichi in questa Unità operativa. Inoltre, se Ravenna, tuttavia, è in queste condizioni lo dobbiamo anche ad una politica locale debole e scarsamente interessata alle questioni sanitarie nella convinzione che il direttore generale manager dell’A.Usl  rappresenti l’unico attore monocratico a doversene occupare. Una sorta di delega a occhi chiusi che chiama in causa anche la  Conferenza sanitaria dei sindaci la quale svolge una funzione secondaria in cui prevale la linea dei primi cittadini più forti e più tenaci politicamente o i territori in cui  la politica è oltremodo interessata alle questioni sociosanitarie.  È fuori dubbio, il Pronto soccorso è in grave e seria sofferenza ma vanno messe in evidenza anche una serie di  criticità che concorrono ad appesantire questo servizio di emergenza. Intanto le Case della salute concepite per offrire servizi di vicinato, alternative o complementari all’ ospedale e finalizzate a sgravare in parte il Pronto soccorso, non sembra abbiano dato risultati confortanti.  Un’indagine del  2019 attestava che dove esiste la Casa della salute gli accessi al Pronto soccorso si riducono del 16,1% e i ricoveri diminuiscono del – 2,4%, ma i dati tendono a scontrarsi con quelli di oggi che registrano, invece, un aumento degli accessi al P.S. del 23% in più rispetto all’anno precedente con un 58% di pazienti non urgenti. Su questa alta percentuale dobbiamo intervenire. E al riguardo  ne consegue, pertanto,  che gli obiettivi sulle Case della salute sono stati scarsamente  raggiunti e, forse, il modello organizzativo di tali servizi del territorio vanno rivisti e rafforzati. Non solo. Vale la pena di ricordare come la Conferenza Stato-Regioni, proprio alcuni mesi fa, abbia approvato i nuovi standard per le medicina territoriale riducendo drasticamente il numero delle figure professionali: infermieri si passa da 2/2 in ogni 2-3 mila abitanti a uno ogni 3 mila abitanti. Ancora gli infermieri allo staff della centrale ospedaliero-territoriale da 5/6 a 3,5;  infermieri dell’ospedale di comunità da 9 a 7/9 e gli operatori socio sanitari da 6 passano a 4/6 e via dicendo. Insomma da una parte occorre valorizzare e puntare sulla medicina territoriale ma dall’ altra si depotenziano le figure sanitarie, e di conseguenza l’accesso al Pronto soccorso alla fine è la strada più comoda nonostante le sfinenti attese e le condizioni di confort ridotte ai minimi termini.”