Oggi, 16 novembre, cent’anni fa a Castel Bolognese nasceva Edmondo Fabbri, l’ex tecnico della nazionale di calcio condannato ad un ergastolo calcistico per colpa della sconfitta contro la Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966.

Dopo un’ottima carriera da calciatore in Serie A fra Atalanta, Inter e Sampdoria, “Mondino” scelse di allenare. Gli diede fiducia il Mantova, che in soli cinque anni portò dalla Serie D al nono posto in Serie A. Fabbri si rivelò tecnico preparato, intelligente, arguto e moderno. In un periodo in cui nel campionato italiano imperava il “catenaccio”, il suo Mantova proponeva un gioco offensivo di qualità, vinceva e divertiva, tanto che venne ribattezzato “il piccolo Brasile”.

Edmondo divenne l’uomo nuovo del calcio italiano e, a soli quarant’anni, nel 1962, fu chiamato a guidare la Nazionale, invocato da molti come il salvatore della patria dopo le tante delusioni degli anni precedenti. E appoggiandosi in particolare sulla tecnica e la genialità di Mazzola, Rivera e Bulgarelli, la sua nazionale si qualificò brillantemente ai mondiali del 1966 in Inghilterra (che allora erano a sole 16 squadre, non 32 come oggi). Ma nella serata del 19 luglio 1966, a Middlesbrough, arrivò la celebre sconfitta contro la Corea del Nord (0-1, gol di Pak Doo-Ik) ad un passo dai quarti di finale. E tutto crollò addosso a Fabbri, che al rientro in Italia fu processato, umiliato, isolato, deriso, perfino minacciato di morte. La sua successiva vita sportiva ed umana fu segnata da quella partita. Edmondo non riuscì più a scrollarsi di dosso quel peso ingombrante, anche se in seguito fece cose apprezzabili, vincendo due Coppe Italia con il Torino e il Bologna.

La sua storia è raccontata nel libro “Oltre la Corea. Vita e calcio di Edmondo Fabbri” di Tiziano Zaccaria