Undici donne, otto provenienze geografiche diverse, un sound unico che fonde Occidente e Medio Oriente in un grande arcobaleno musicale. È ALMAR’À, l’orchestra di donne arabe e del Mediterraneo in Italia, che torna in concerto dopo il lungo stop dovuto all’emergenza sanitaria.

Martedì 22 marzo sono sul palco del Teatro Ristori di Verona per la campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne curata dal Rotary Club di Verona Sud e mercoledì 23 marzo arrivano al Teatro Sociale di Piangipane (Ravenna) nell’ambito di Territori Comuni, una serie di iniziative dell’Assessorato all’Immigrazione del Comune di Ravenna volte a promuovere i valori di convivenza, sostenibilità ed equità.

Un atteso ritorno alla musica in un momento in cui tutte le certezze sembrano vacillare. Due live nel segno della speranza e della pace, messaggio ben rappresentato dal brano inedito We are, dedicato a un urgente bisogno di libertà e accoglienza, scritto da Ziad Trabelsi ed Emanuele Bultrini. Accanto a brani originali come Rim Almar’à, i pezzi in concerto attraversano sonorità e ritmi tradizionali del Mediterraneo, che all’interno dell’orchestra rinascono grazie alla diversa interpretazione delle artiste. Un viaggio nel sound nordafricano e mediorientale tra canzoni come Lama Bada, Bint Al Balad, Goc e Mevlana, passando per i successi del mondo arabo Helwa Ya Baladi (Dalida), Ya Rayah (Rachid Taha) e Abdel Kader (Khaled). Amara terra mia di Domenico Modugno è un sentito omaggio all’Italia, dove l’orchestra ha trovato casa.

Almar’à è un inno alla bellezza della diversità: musiciste di ogni età, professioniste e non, cantanti tradizionali e moderne; suoni che partono dalla musica araba, attraversano quella classica ed entrano nei territori del jazz; strumenti orientali e occidentali insieme.

Un progetto nato dall’integrazione sociale a partire dall’universo femminile – Almar’à significa “donna” – e dall’esigenza di sensibilizzare e dare forma a un presente che superi gli stereotipi legati al mondo arabo.

L’orchestra è formata da donne di provenienze diverse, spesso accomunate da una nazionalità italiana di seconda generazione che guarda al futuro con la voglia di ritrovare le proprie tradizioni.

Superando confini geografici e frontiere musicali, la musica di ALMAR’À vede il kanoun della giovane Dima Dawood, nata a Damasco ma oggi di stanza a Berlino, fondersi al contrabbasso jazz e  al violoncello della turca Derya Davulcu; la darbouka della tunisina Sana Ben Hamza suona con il flauto nay di Valentina Bellanova, uno strumento della tradizione araba suonato da un’italiana, al momento trapiantata in Germania e docente al Conservatorio di Musica Turca di Berlino (BTMK) e alla Global Music Academy di Berlino. Il piano è affidato alle sapienti mani dell’italo-tunisina Sade Mangiaracina, tra i “dieci protagonisti del jazz italiano del futuro” per la nota rivista statunitense GQ, che vanta un fan d’eccezione come Paolo Fresu, che ha prodotto il suo ultimo disco. E poi le percussioni affidate all’energia di Vera Petra, il flauto traverso di Silvia La Rocca, di origine eritrea con studi al Conservatorio di Musica Santa Cecilia e una carriera decennale in ambito concertistico. Il coro ospita invece la voce dal Kenya di Kavinya Monthe Ndumbu e quella dalla Turchia di Yasemin Sannino – voce de “Le Fate Ignoranti” di Ferzan Özpetek che vanta collaborazioni con i maggiori compositori di colonne sonore italiane ed estere –, la passione di Hana Hachana, tunisina di 24 anni e una professione di estetista, e di Nadia Emam, cresciuta in Toscana ma decisa a non abbandonare le proprie origini egiziane.

A dirigerle, Ziad Trabelsi dell’Orchestra di Piazza Vittorio, che cura il coordinamento artistico del progetto fin dalla sua nascita, avvenuta nel 2017 tra Firenze e Roma grazie alla collaborazione tra Fondazione Fabbrica Europa e il Centro socio-culturale tunisino “Dar Tounsi”. Almar’à ha avuto il supporto del MiBACT attraverso il bando MigrArti e il sostegno della Fondazione Pianoterra e Fondazione Cultura e Arte.