Tra i refrain portuali cantati dai soliti noti che imperano sulla nostra città, è passata quasi inosservata al pubblico la notizia che della barca di milioni destinati per decreto agli investimenti strategici per lo sviluppo infrastrutturale dell’Italia, il governo PD/5 Stelle ne ha regalato (coi nostri debiti) al porto di Ravenna 85, 40 dei quali per la delirante cosiddetta Fase 2 del nuovo Hub portuale volta a scavare i fondali del porto-canale fino a -14,5 metri.

Delirante perché:

  1. il progetto finora approvato dal governo non va oltre la Fase 1, cosicché il parto della 2 è solo un’ immaginazione, se non un magna magna;
  2. la Fase 1, che pur gode invece di 235 milioni già in cassa (sempre coi nostri debiti), è ancora tutta da avviare: toccando ferro, porterebbe i fondali a -12,5 metri, unico ragionevole obiettivo concretamente raggiungibile, ma tra non meno di 7/10 anni, e non facilmente;
  3. per arrivarci, occorre scavare e depositare altrove sul nostro territorio 4,7 milioni di metri cubi di fanghi portuali, che non è affatto chiaro a tutt’oggi dove possano essere legalmente collocati: per la Fase 2 ce ne vorranno almeno altri 9 o 10, a cui nessuno pensa, mentre eventuali nuove soluzioni per il loro trattamento sono tutte da inventare;
  4. dalle dichiarazioni dei soliti noti rese nel novembre 2019, lo scavo dei canali portuali a 14,5 metri (in alcuni tratti anche 15,5) servirebbe strutturalmente per realizzare in Largo Trattaroli un nuovo terminal container della SAPIR in grado di “movimentare 500 mila unità di container (TEU)”: ma l’ attuale “vecchio” terminal container della SAPIR in darsena San Vitale è sfruttato molto sotto all’obiettivo di 300 mila TEU, che avrebbe dovuto raggiungere una decina di anni fa, mantenendosene invece a distanza;
  5. da quando furono fatti, 14 anni fa, gli ultimi precedenti scavi, che abbassarono i fondali a -11,5 metri, i soliti noti non solo non ne hanno scavato un centimetro in più, ma sono riusciti perfino, per l’infima manutenzione, a rialzarli, tanto che, dietro ordinanza della Capitaneria, oggi si entra nel porto di Ravenna con un pescaggio massimo di 9,45 metri. Su questo è utile soffermarci.

Con una piccola ricerca ognuno può facilmente rendersi conto che i fondali di tutti i porti romagnoli, commerciali o turistici che siano, hanno una consistenza limo-sabbiosa tale che mareggiate anche piccole ne provocano considerevoli spostamenti, bisognando così di continua manutenzione. Il problema non da poco del basso fondale del porto di Ravenna, che costringeva le sue industrie a trasbordare le merci dalle grandi navi ad altre più piccole atte a risalire il canale Candiano, fu risolto nel 1956 realizzando la cosiddetta “Isola d’acciaio” al largo di Marina di Ravenna. Collegata alla raffineria SAROM con un oleodotto lungo sei chilometri, le navi fino a 30 mila tonnellate potevano così attraccare alla sua piattaforma e scaricare direttamente sul punto finale di arrivo. Quest’isola è andata in pensione insieme alla SAROM, ma la problematica è sempre la stessa. Perché allora non si studiano altri progetti risolutivi, prima di gettare a mare i nostri soldi? Il Candiano è per sua costituzione un condotto artificiale che ha necessità di una continua manutenzione. Dato e non concesso che scavarlo a -14,5 metri abbia mai un senso, hanno almeno calcolato quanto costerebbe mantenerlo a tale profondità? Oppure, una volta speso chissà quale patrimonio per arrivare così in basso, se ne dimenticheranno per altri 14 anni?

Ripetiamo peraltro, senza stancarci, che nel porto di Ravenna il fango più limaccioso da rimuovere subito è la crisi devastante della sua produzione di reddito e di occupazione dovuta al crollo delle navi in arrivo e della movimentazione di merci, indotti dal coronavirus e da altre croniche debolezze e sciagure autoctone. Quello che serve immediatamente al nostro scalo sono provvedimenti concreti capaci di restituire efficienza e convenienza alla propria offerta di servizi e di opportunità, non sogni o illusioni, tanto meno incubi.