Riceviamo e pubblicchiamo.

“Gentili professori,

sono mamma di due ragazzi con disturbo specifico dell’apprendimento (DSA).

Scrivo non per protestare, ma condividere un dolore profondo, che nasce quando mio figlio Luca torna a casa con gli occhi bassi e il cuore pesante. Dolore di tutti i bambini e ragazzi che, ogni giorno , si sentono sbagliati.

Siamo giunti alla fine dell’anno scolastico, e Luca si ritrova con una sospensione del giudizio in due materie. Nulla di strano, se non fosse che a pesare non sono i voti, ma un confronto difficile con alcuni docenti.

Da ottobre ad oggi mio figlio con fatica, costanza e determinazione si è impegnato in una nuova esperienza scolastica, presso il Liceo Artistico, arrivando a dover tralasciare addirittura lo sport nel secondo quadrimestre perchè il suo tempo libero lo doveva dedicare ai recuperi. Tuttavia, il riconoscimento di questi impegno non è mai arrivato, se non con continue valutazioni ai limiti della sufficienza, 5,6/5,9, a fronte di una sua costante sensazione di non essere “abbastanza”, in particolare quando si è sentito dire di “essersi iscritto alla scuola sbagliata”. Eppure, in alcune materie – come scienze – ha ottenuto un giudizio finale pari a 8, segno che, se ben accompagnato, può essere in grado di apprendere, di brillare, di farcela. È questa la scuola che vogliamo per i nostri figli? Una scuola che giudica, anziché valorizzare? Che applica il piano didattico personalizzato (PDP) come formalità burocratica, anziché strumento vivo di inclusione?

Attribuire a dei minori la diagnosi del DSA significa che essi apprendono in modo diverso, non che apprendono meno. Esistono per loro linee guida ministeriali, strumenti compensativi da adottare, metodologie inclusive da applicare. Ma, nella pratica quotidiana, questo passa spesso in subordine, quasi un fastidio da gestire, non un percorso da seguire per educare un DSA. Il risultato? Vengono etichettati, esclusi, abbandonati ad una spirale di demotivazione e insicurezza.

Come famiglia, abbiamo cercato collaborazione e dialogo. Abbiamo scritto, partecipato ai colloqui, chiesto incontri con il referente DSA e con la dirigenza. Mai chiesto favoritismi, ma diritti. Non voti regalati, ma valutazioni che tengano conto delle reali possibilità e dei bisogni educative di Luca. Non vogliamo che nostro figlio venga promosso a tutti i costi, ma che venga motivato, sostenuto, rispettato.

Alla luce di tutto ciò, ci chiediamo quanti altri ragazzi come Luca vivono lo stesso disagio, lo stesso senso di esclusione, lo stesso dolore silenzioso.

Scrivo perché qualcuno, leggendo, possa ricordare che ogni ragazzo è un prodigio, che ogni ferita ricevuta a scuola continua a sanguinare per anni, che nessun 5,9 vale più della gioia di sentirsi accolti. Quindi, vi prego, pensate che non state solo correggendo dei compiti, ma che tenete per mano il futuro di un essere umano.”

Una madre K.R. (lettera firmata)