“Seguendo il cronoprogramma dell’impresa appaltatrice, il fine lavori del nuovo ponte di Savarna, detto Grattacoppa, viaggia inesorabilmente, salvo maltempo, verso il 23 marzo 2022, anziché il 26 dicembre prossimo, come vorrebbe il Comune di Ravenna. Per questi 87 giorni di differenza, il Comune ha minacciato di applicare alla controparte una penale giornaliera di 2.451 euro, in totale 213.327. Si vedrà se l’impresa pagherà oppure farà ricorso in sede giudiziaria. Ma non sarà semplice sciogliere e addebitare la matassa delle responsabilità per cui un ponte di “non particolare complessità” (così descritto dal Comune cinque giorni fa), ci metterà più di tre anni per essere finito, anziché uno.

COS’È IL COLLEGIO – È stato infatti protocollato questo 17 novembre il provvedimento (allegato) che introduce nella vicenda “la costituzione del Collegio Consultivo Tecnico” (CCT) prevista dal Codice degli appalti, ma non obbligatoria per i lavori pubblici di costo inferiore alla soglia comunitaria (ora 5 milioni e 382 mila euro) com’è quest’opera. È stata dunque una scelta facoltativa del Comune di Ravenna. Il collegio è stato composto con tre ingegneri particolarmente esperti in materia, uno scelto dal Comune, un altro dall’impresa e il terzo, in veste di presidente, concordato tra i primi due. Il loro costo è stato previsto, a norma di legge, tra compensi e oneri vari, in 20.640 euro, 10.320 ciascuno a carico del Comune e  dell’impresa.

I SUOI COMPITI – Secondo la legge, il CCT ha diversi compiti, riportati testualmente nel provvedimento del Comune. Innanzitutto, “la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto e quelle che possano rallentare o compromettere l’iter realizzativo dell’opera pubblica o comunque influire sulla regolare esecuzione dei lavori, ivi comprese quelle che possono generare o hanno generato riserve”. Vien subito da chiedersi perché il Comune ha fatto il CCT solo adesso, ormai che tutte le “controversie” possibili sono state consumate anziché conciliate, tanto più che, per tutto l’arco dei lavori, l’impresa ha prodotto riserve a iosa verso le direttive del Comune. Ma c’è un altro compito, scritto ermeticamente così: “l’espressione di pareri ex art. 5 comma 4 del Codice degli appalti”. Si va allora a leggere cosa dice questo comma: “Nel caso in cui la  prosecuzione dei  lavori, per  qualsiasi motivo, […] non possa  procedere  con  il soggetto designato […] la  stazione appaltante […] , previo parere del collegio consultivo tecnico, […] dichiara senza indugio […] la risoluzione del contratto, che opera  di  diritto […]”. Corrisponde alla seconda minaccia, rivolta dal Comune all’impresa in aggiunta alla penale: “Risoluzione del contratto per mancato rispetto dei termini”. L’avevo definita un “morso finto, perché cacciare la RCB prima che finisca i lavori, tra cause in Tribunale e appalto dei lavori restanti ad altra impresa, significa rinviare il nuovo ponte di molti altri mesi”. Ma proprio il comma di cui sopra consente “che per gravi motivi tecnici ed economici sia comunque, anche in base al citato parere, possibile o preferibile proseguire con il medesimo soggetto”.

SULLO SFONDO LA MAGISTRATURA – Di fatto, il CCT non cambierà dunque niente fino a che l’impresa non consegnerà al Comune, prima o poi, il nuovo ponte. I pareri del CCT serviranno piuttosto, successivamente, in sede giudiziaria, e sarà il giudice a valutarli, nel caso che il braccio di ferro tra Comune e impresa prosegua, per chissà quanto tempo, nelle aule dei tribunali. Viceversa – alla faccia dei paesi e dei cittadini che hanno ricevuto solo danni – finirà a tarallucci e vino.”