“Il grado di antropizzazione del territorio è determinante nel classificare e ricordare gli effetti di un’alluvione. Se non ci fossero case, ponti, strade, attività produttive, quindi se non ci fossero beni esposti a questo pericolo naturale e di conseguenza il livello di rischio di un territorio fosse basso, l’alluvione rientrerebbe in un evento di normale evoluzione geomorfologica locale. In pianura, il fiume allagherebbe le aree in prossimità (attraverso “rotte” fluviali), determinando lo stazionamento più o meno lungo delle acque nei settori con le quote più basse.

Quando le alluvioni accadono, specie se causate da piogge di intensità inusuale che impattano fortemente in un contesto antropizzato, abbiamo la percezione di un’inadeguatezza delle opere di regimazione che l’uomo ha introdotto per mantenere il controllo del territorio, spesso frutto di interventi che si sono per così dire “stratificati” nel corso dei secoli. Infatti in Emilia-Romagna sono state realizzate, nel tempo, numerose opere di sistemazione fluviale, sicuramente più che in altre regioni, per cui è difficile e fuori luogo accusare un’Amministrazione di immobilismo.

Il dato è che si verificano periodiche alluvioni, anche se ovviamente non paragonabili a quelle del maggio scorso, ma tutte inquadrate in un contesto climatico diverso da quello di vent’anni fa”. Lo ha affermato il geologo Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia – Romagna.

Il 62% della popolazione risiede in aree a pericolosità media.

“Dove andiamo a ricercare le responsabilità? Governare un territorio complesso e con tante criticità come l’Emilia-Romagna non è facile, specialmente quando hai il 62% della popolazione residente in aree a pericolosità media per il rischio alluvione. La difficoltà nel reperire risorse pubbliche, la presenza di più soggetti che si occupano della gestione del territorio, la debolezza della politica nell’imporre scelte drastiche che non seguono le leggi del mercato e quindi osteggiate da imprenditori e investitori; lo stesso cittadino che apprezza maggiormente scelte edificatorie a scapito di interventi di manutenzione apparentemente invisibili. Il “presto e subito” – ha concluso Antolini –  non è una soluzione ma un problema. Dobbiamo prendere coscienza che non abbiamo bisogno solo di una pianificazione dell’emergenza, ferma restando l’importanza dell’allertamento, di cui anche in occasione degli eventi di maggio abbiamo beneficiato. Abbiamo bisogno di una pianificazione territoriale non più al seguito di emergenze, ma per guardare al futuro e al lungo termine.

Gli eventi a cui stiamo assistendo, ci inducono a valutare il rischio idrogeologico con nuovi parametri, nuove leggi, la modifica dei comportamenti abituali, un potenziamento degli Uffici addetti alla sicurezza territoriale nella direzione di un presidio costante del territorio ed una Protezione Civile che sicuramente dovrà raccogliere da quanto accaduto elementi di riflessione.

Quale dovrà essere o, meglio, quale vogliamo che sia il livello di rischio accettabile? Di conseguenza quale vogliamo che sia l’onere economico che ci vedrà impegnati? Per rispondere a queste nuove sfide, saranno necessari l’ adeguamento della disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio; l’aggiornamento degli strumenti di pianificazione di settore sul dissesto; l’adeguamento nella tipologia di progettazione delle opere. È ormai evidente a tutti che ogni intervento sul territorio va pianificato a livello di bacino, non possono più essere le sole comunità locali a decidere lo sviluppo urbanistico del proprio territorio”.