“Leggiamo la polemica replica del presidente onorario del Ravenna Festival, Cristina Mazzavillani Muti, circa il proprio mancato sostegno all’appello per salvare le torri Hamon, e ci permettiamo di rilevare che appare decisamente fuori bersaglio per almeno tre motivi.

Il primo riguarda il fatto che tantissimi studiosi, artisti e semplici cittadini, per anni, hanno continuato ad occuparsi di archeologia industriale e delle torri, entrate, nel bene e nel male, nell’immaginario collettivo e nello skyline di Ravenna: che sia stato questo il motivo per cui sono state abbattute con un blitz? In particolare, la sezione di Ravenna di Italia Nostra, riattivata nel 2017, è sempre stata in prima linea per la tutela della Darsena di Città, e uno dei soci – negli anni ’90 ventenne – dal 2010 al 2012 ha promosso il procedimento di tutela come bene culturale di uno dei suoi manufatti più significativi, oltre ad aver pubblicato sul tema libri, ricerche, avviato o preso parte ad ogni sorta di iniziativa in merito, processi partecipativi, centinaia di osservazioni al POC Darsena 2015, visite “lampo” proprio alle torri Hamon in occasione della candidatura a Ravenna Capitale della Cultura 2019 e molto, molto altro. Aggiungiamo, in ultimo, la partecipazione alla costosissima farsa “DARE” e, nel 2022, le numerose osservazioni al PUG, rimaste, col PUG, nei cassetti del Comune. Una delle osservazioni riguardava le torri Hamon, ma era pressoché irrilevante, in quanto il PUG, su questo punto, era già perfetto, prevedendone la tutela, e così – errore, questo sì, imperdonabile – si stava tranquilli.

Il secondo motivo attiene al paventato degrado: Italia Nostra ha immediatamente chiesto formalmente ad ENI di poter effettuare un sopralluogo presso le torri, costruite interamente in opera secondo un brevetto (Mouchel & Partners) ai tempi avveniristico, ed armate di tutto punto. Nessuna perizia e nessuna foto pertinente, infatti, corredava la Cila per la demolizione, se non poche generiche righe, redatte dallo stesso tecnico che ha decretato, con una relazione quantomeno discutibile, la morte dell’ultima gru di banchina davanti al Darsenale, distrutta con un blitz in un weekend di luglio. Altro manufatto in cui si è tentato di tutto per bloccare la distruzione. Fossero state “marce”, si sarebbero accartocciate in un soffio, considerando poi che lo spessore delle pareti (“mantello”) era di soli 10 cm (!). Le numerose foto circolate testimoniano tutt’altro che marciume e c’è voluto un mese di lavori forsennati per distruggerle. Inoltre, non è stato prodotto alcun computo sui costi del recupero di almeno una delle due; recupero che peraltro le associazioni e tanti cittadini al momento nemmeno chiedevano, pregando solo di fermarsi ed aprire il confronto. Non bastasse, frammenti appartenenti alle torri sono stati analizzati, e il calcestruzzo risultava tuttora in ottimo stato. Ma nessuna risposta è giunta da ENI per concedere il sopralluogo, e quindi non è stato possibile accertare direttamente sul luogo la rispondenza. Ad ogni modo, quasi a spregio, una decina di metri della torre più a est, in barba alla fretta di demolire e finire il lavoro, è rimasta in piedi. ENI ci farà entrare per eseguire prove e verifiche almeno su ciò che resta?

Infine, il terzo riguarda il fatto che a nostro parere non fossero certo le associazioni a doversi risvegliare dal – presunto – sonno prolungato, ma gli Enti e le Amministrazioni pagati per governare il territorio, tutelare i beni testimoniali, valorizzare dal punto di vista economico, turistico e culturale il Porto; responsabili invece di consentire e autorizzare degrado e abbattimenti. Perché l’attacco è rivolto alle associazioni e alle sigle che hanno condiviso la denuncia della distruzione e lamentato il mancato supporto e rispetto del PUG, e non, eventualmente alle Istituzioni competenti?

Per concludere, nella replica desta sgomento il ringraziamento ad ENI, main sponsor del Festival e proprietaria del sito ex SAROM. Quale ringraziamento se, come ricordato, i suoli erano inquinatissimi ma la bonifica, certificata da ARPAE, non è stata completata se non per un uso industriale? In compenso i terreni non ancora totalmente bonificati verranno venduti da ENI per 6.8 milioni di euro più IVA, ed acquistati con soldi pubblici dall’Autorità Portuale di Ravenna, diventando parte del demanio pubblico. I contorni di una beffa e di una pagina nera per la cultura e il dibattito democratico a Ravenna.”

Italia Nostra sezione di Ravenna