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Premessa. Nel giugno di un anno fa, ebbe larga eco sulla stampa la nostra interrogazione al sindaco: “Case protette, anziani come in prigione. Restituire umanità alle visite” (https://www.comune.ra.it/il-comune/consiglio-comunale/gruppi-consiliari/attivita-dei-gruppi-consiliari/gruppo-consiliare-lista-per-ravenna-polo-civico-popolare/interrogazione-case-protette-anziani-come-in-prigione-restituire-umanita-alle-visite/). Cominciava così: “Parliamo delle CRA, strutture residenziali per anziani non autosufficienti, altrove chiamate RSA. Lunedì scorso, una concittadina ultrasessantenne, la cui madre, ultranovantenne e residente con lei, è ospite di una di queste, scrive affranta a Lista per Ravenna chiedendoci di ‘porre attenzione sulle CRA di Ravenna in cui le visite agli anziani, anche dopo l’annuncio del ministro Speranza, sono sottoposte ad inaudite restrizioni’”. Ad un anno di distanza, liberi tutti o quasi dalle ostruzioni della pandemia, la stessa concittadina, Eleonora Sanzani, nel frattempo eletta consigliera territoriale del Comune di Ravenna nell’Area Darsena di Ravenna, scrive alla madre, appena deceduta, questa lettera dolente, pubblicabile di per se stessa, perché sia raccolta come monito da chi si assiste e cura i tanti anziani e disabili non autosufficienti nelle proprie Case residenziali pubbliche e da chi le vigila. (Lista per Ravenna – Polo civico popolare).

 LETTERA AD UNA MADRE PERDUTA NELLA PANDEMIA

“Cara mamma,

ti sei spenta in silenzio in un giorno inutilmente caldo e sereno di maggio, in un luogo di gelida burocrazia, dove sembra, da un anno a questa parte, che i sentimenti umani, anche quelli più elementari, abbiano ceduto il passo al più impietoso ed inspiegato regolamento. Parlo della Casa Residenza Anziani non autosufficienti di Ravenna che ti ha ospitato in questo tempo.

Avrei voluto oggi, per onorare la tua memoria, ringraziare il personale che ti ha assistito per l’amorevole cura e l’umana empatia e comprensione che ci ha dimostrato. Ma ecco che, fra lacrime roventi, ti rivedo salutarmi attraverso un cancello sbarrato, oppure muta e smarrita davanti ad un quadro chiamato tablet, strumento a te totalmente sconosciuto, alle cui prese chiunque, anche una figlia, ti diventa straniera.

Erano quaranta giorni che non ti vedevo, proibito vederti. Quaranta giorni che non potevi avere il conforto delle tue figlie. Potevamo parlare con te solo online, con mezzi avulsi, freddi e crudeli. Quaranta giorni di chiusura per il Covid, tutto il mese di aprile 2022. Ultima chiusura per te, prima di chiudere gli occhi per sfinimento, che si è sommata ad altre due. La prima nel maggio 2021, una settimana dopo la tua ammissione, e la seconda fra ottobre e novembre 2021, per quasi un mese, la più disumana.

Disumana perché avevo organizzato tutto per farti venire un po’ a casa, con una macchina attrezzata e tutto il necessario. Avevo applicato tutte le raccomandazioni, avevo studiato l’ordinanza del Ministero della Salute dell’8 maggio 2021, preparato i familiari e riunito tutte le condizioni per una perfetta “bolla sociale”. Ma la struttura aveva altri piani, ai quali sei dovuta soccombere insieme ad altri anziani. Il tutto nella totale solitudine nostra e tua.

Eppure l’ordinanza del Ministero della Salute, vigente da allora, recita: “Le strutture devono garantire una regolare informazione ai familiari sulla situazione clinica degli ospiti…”. E più avanti: “È indispensabile sviluppare strategie di corresponsabilizzazione rivolte agli utenti e ai loro familiari (…) nell’ottica della massima condivisione delle scelte assunte…”. E ancora: “La pianificazione degli accessi e delle uscite deve anche tenere in debita considerazione non solo i bisogni clinico-assistenziali-terapeutici dell’ospite, ma anche quelli psicologici, affettivi, educativi e formativi. Non da ultimo, anche le istanze dei familiari con riferimento alla sfera relazionale-affettiva…”.

La struttura non ha mai garantito regolare informazione. Chiamavo sempre io. Strategia di corresponsabilizzazione? Non pervenuta. Tenere in debita considerazione anche gli aspetti psicologici, affettivi, educativi e formativi? Ti ricordi, mamma, quando un operatore voleva impedirmi di toccarti? È possibile che si impedisca ad una figlia di toccare la propria madre anziana? Neppure in clausura, non in una struttura che vuole essere luogo di cura.

No, mamma. Decisamente, e con grande rammarico, non ho nessuno a cui rivolgere un ringraziamento in nome del tuo ricordo. Spero solo che tu sia di monito perché altri anziani, i più fragili della società, senza cui noi non saremmo qui, siano protetti e trattati come persone.”

Emanuela Sanzani