La segreteria regionale Emilia Romagna del Nuovo Sindacato Carabinieri (NSC), in una nota inviata al Comando Legione Carabinieri Emilia Romagna, ha espresso alcune valutazioni di carattere sindacale, relativamente a un intervento del Comandante Davide Angrisani sul tema degli “interventi suscettibili di riflessi sul servizio che coinvolgono il personale”.

La lettera, datata 23 dicembre 2021, come rilevato dal segretario generale Massimiliano Zetti, potrebbe, sia pure involontariamente, essere male interpretata dando luogo a una forma di delazione, nel punto che recita: “laddove il militare per timore, ritrosia, o qualunque altra ragione, non provveda a tale obbligo e un superiore gerarchico /collega acquisisca comunque conoscenza di tali situazioni a qualsiasi titolo (per interposta persona, a titolo ufficiale o anche solo confidenziale) ancorché in una adeguata cornice di riservatezza e di rispetto delle normative di settore, è sempre opportuno procedere ad informare la scala gerarchica…”

«In poche parole – spiega il segretario regionale Giovanni Morgese -, rimanendo “oscuro” ed ampiamente interpretabile il criterio di adeguatezza della riservatezza e la normativa di settore genericamente menzionata, si potrebbe erroneamente comprendere che se un collega confidi fatti privati, che non abbiano comunque risvolti di carattere penale o connessi con obblighi istituzionali (dei quali ogni singolo militare è ben conscio) ad un altro collega, quest’ultimo sia esortato a riferirne il contenuto al superiore gerarchico».

La norma richiamata dal Comandante della Legione Emilia Romagna nella sua missiva, è chiara da oltre 30 anni ed è sempre stata applicata in maniera corretta, poiché mutuata dal soppresso Regolamento di Disciplina Militare, nel punto in cui si richiama l’esclusività del militare interessato, a rendere noto il fatto suscettibile di comunicazione.

In ragione di questo, la segreteria regionale NSC Emilia Romagna, ritiene che l’intervento del comandante di Legione, possa stimolare comportamenti delatori tra colleghi, minando inevitabilmente il dialogo tra gli stessi e dando un assist a possibili contrasti all’interno dei reparti.

«Timore e ritrosia – spiega Morgese – si instillano nell’animo umano proprio quando non vi è fiducia ad aprirsi verso un superiore od un collega. Certamente se dovessero essere intraprese misure o scelte sulla base del comune sentito dire, magari frutto di presunzioni, congetture o di antipatie personali, che si potrebbero riverberare sul militare additato, senza che quest’ultimo abbia fatto o detto alcunché, se non una esternazione confidata in un momento di sfogo o di momentanea difficoltà ad un collega che si riteneva di fiducia, ci troveremmo di fronte ad una incredibile spirale che potrebbe coinvolgere anche la sfera psicologica dei soggetti, con pericolosi risvolti nei rapporti personali nonché ingiusti eventuali provvedimenti disciplinari».

Una lettera dunque, che a vedere del sindacato, andrebbe in contrasto con l’intervento del comandante generale Teo Luzi, il quale ha esortato a una maggiore vicinanza e ascolto del militare da parte del superiore.

«Il superiore diretto ha tantissime responsabilità, se non si accorge di un malessere o di una situazione particolare di un suo dipendente, vuol dire che non è un bravo superiore e a questa lacuna – conclude Morgese – non si può sopperire attraverso la delazione».