“Guido Ottolenghi ha conversato con gli ospiti del Circolo Ravennate e dei Forestieri sulla situazione in Israele e sul conflitto scatenato dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre scorso.

Sulla base delle sue conoscenze e delle sue relazioni in Israele e nel mondo arabo, egli ha proposto spunti di riflessioni su temi quali la narrazione della legittimità di ciascuna parte nel conflitto, il diverso uso della Bibbia da parte di Islam e Occidente, i diversi modi di vedere il conflitto in chiave locale, in chiave geopolitica (lo scontro tra sciiti e sunniti, tra potenze storiche e potenze emergenti), come simbolo culturale (la pace di Gerusalemme e il conflitto di civiltà), e in chiave politica (è un conflitto contro il neocolonialismo in cui tutto è permesso, o è un conflitto per le libertà della modernità in cui ogni difesa è giusta?). La storia dei popoli è purtroppo fatta in larga parte da guerre e migrazioni da cui nascono, dopo molte sofferenze, società e stati stabili per qualche tempo.

La storia di spostamenti di popolazioni e scontri tra culture è tristemente infinita, non solo nel passato, ma anche negli ultimi decenni, che hanno visto la nascita o il consolidamento di 82 stati che si definiscono cristiani, 56 che si definiscono islamici e 1 che si definisce ebraico. Ancora oggi conflitti drammatici e sanguinari, ben più crudeli di quello mediorientale, piagano il pianeta senza interessare molto le coscienze nei nostri Paesi, che perciò si devono interrogare su cosa spinge, nel profondo dell’animo, a ignorare la sofferenza degli uni a favore dell’agenda degli altri.

Attraverso dati e aneddoti il relatore ha proposto la tesi che al momento non vi è una soluzione al conflitto, se non temporanea, e che non è detto che la soluzione dei due stati sia più attuabile. Il massimalismo che ha caratterizzato la politica araba e palestinese per oltre un secolo, cioè la convinzione che Israele possa essere prima o poi cancellato e che dunque non occorrano compromessi autentici, ha determinato il rifiuto di almeno quattro opportunità di creare e amministrare uno stato indipendente, e mentre Israele ha integrato oltre 800.000 ebrei profughi dai paese arabi, l’eguale numero di profughi palestinesi del 1948 viene tenuto in condizioni dolorose da quattro generazioni, coltivando l’odio.

Ogni energia e risorsa materiale e culturale palestinese è stata convogliata alla mobilitazione e alla battaglia, e le élite palestinesi più moderate sono state eliminate fisicamente dai loro fratelli o ridotte al silenzio. In questo contesto Israele può lavorare a soluzioni del conflitto più o meno meritevoli, ma non può non combattere per la sua sopravvivenza. Dai nostri Paesi per ora ricchi, comodi e tranquilli possiamo osservare lo scontro come tifosi dell’una o dell’altra squadra, ma infine anche se crediamo di tifare per la grande Israele, o per la Palestina dal fiume Giordano al mare Mediterraneo (cioè, senza ebrei…), in realtà tifiamo per un modello di società e un sistema di valori.

Finora il potere di Hamas (che è un collaborazionista del colonialismo iraniano) e dei suoi sodali è stato sostenuto dal “tifo” politico di alcuni di noi e dai soldi copiosi a loro convogliati senza molti controlli non solo dai loro sponsor islamici, ma anche dall’ONU, dall’Europa e perfino dagli USA, consolidando un sistema di potere e dominio sociale che alimenta il conflitto. 
Ottolenghi ha così concluso. Anche se la situazione è complessa e nessuno è senza colpe, per il bene nostro e di entrambe le parti prima o poi ognuno di noi dovrà interrogarsi sull’essenziale: dove sta maggiormente il bene e dove sta maggiormente il male? Il resto verrà da sé.”