Maria Ballardini, 82 anni, è stata uccisa a coltellate dal marito, Claudio Cognola di 77 anni, che ha poi tentato di suicidarsi.

Non è un dramma della disperazione e della solitudine il cui responsabile è lo Stato che non si prende sufficientemente cura e abbandona al loro destino anziani e anziane.

Non lo è perchè molte donne si trovano quotidianamente nella situazione di Cognola: accudiscono mariti anziani e malati, essendo a loro volta bisognose di cure. Lo fanno con fatica, sopportando la propria sofferenza e quella dei loro compagni, la frustrazione nel vedere gli ultimi anni della propria esistenza dedicati al prestare cure, sopportando il senso di impotenza per quel poco che si può fare in certe situazioni e con la paura di lasciarli soli senza assistenza, nel caso venissero a mancare prima di loro. EPPURE, NON LI UCCIDONO, LI CURANO.

Lo si dà per scontato perché lo stereotipo vuole che il ruolo della donna sia quello di cura. Ma quando sono le donne a necessitare di cure amorevoli e non sono più in grado di fornirne, ecco che siamo pronti a giustificare persino l’omicidio.

Non è un “gesto pietoso”, compiuto per porre fine alle sofferenza della donna. È evidente che non lo sia, per le modalità con cui è stato realizzato. Maria Ballardini è stata uccisa a coltellate, gesto incompatibile con l’idea di una “buona morte”, che solleva dalla sofferenza.

C’è inoltre chi ha cercato di accostare questa uccisione alla vicenda di Piergiorgio Welby, che ha chiesto esplicitamente di mettere fine alle proprie sofferenze, considerate da lui stesso intollerabili. Ma non c’è nessuna traccia della volontà autodeterminata di morire da parte Maria Ballardini. Questa visione è una fantasia interpretativa.

Per tutte queste ragioni, è necessario riconoscere l’uccisione di Maria Ballardini per quello che è, un femminicidio. Una donna viene uccisa da un uomo ogni 72 ore e Maria Ballardini è la diciottesima vittima del 2022. Suo marito ne è il responsabile.

Secondo l’osservatorio sui femminicidi di Repubblica i femminicidi di donne anziane e ammalate sono in aumento. Nel 2021 il 35% delle vittime di femminicidio aveva più di 65 anni. Nel 2022 sono già 8, quasi la metà del totale.

Vale la pena ricordare che la parola femminicidio non indica il genere di chi è morto, indica il perché. Gli uomini eliminano fisicamente le donne quando sono loro di intralcio, quando non stanno al proprio posto, quando minano la loro supremazia. E, come il caso in questione evidenzia, quando non sono in grado di sopportare la nostra sofferenza, o la loro nel doverci accudire.

L’uccisione di Maria Ballardini ci riporta al cuore di ogni femminicidio, che è l’atto più estremo di sopraffazione dell’uomo sulla donna.

Cosa differenzia Claudio Cognola, uxoricida di Maria Ballardini, da altri mariti che hanno brutalmente soppresso la vita delle mogli? Niente. Anche lei è stata eliminata da un uomo, nel momento in cui non è più stata utile, si è sottratta al suo compito di cura, addirittura necessitando di essere da lui curata. È stata eliminata, come tante, troppe, perché l’uomo non è stato in grado di reggere il peso emotivo della situazione. In questo caso è la malattia, in altri, l’essere lasciato, contraddetto, privato del prestigio sociale o economico.

Le cronache giornalistiche di questi giorni sono piene di narrazioni tossiche, che sottolineano quanto Cognola fosse ritenuto da tutti un “brav’uomo”, provato dalla malattia della moglie, fino ad essere “esasperato e depresso”. Il suo gesto viene così giustificato dalla sua prostrazione emotiva, quasi diventasse un “atto pietoso”, che voleva porre fine alle sofferenze di entrambi. Il risultato di questa narrazione è che le vittime sono due. Ancora una volta si sono volute creare le condizioni per confondere le parti tra vittima e autore della violenza. Di lei si dice solo che era malata. Delle sue sofferenze, per lo stato di malattia che viveva sul suo corpo, per la perdita dell’autonomia, della sua prostrazione psicologica e del suo diritto ad essere curata amorevolmente, fino alla guarigione o fino alla fine naturale della sua vita, non c’è cenno.

Nella relazione della Commissione di inchiesta parlamentare sul femminicidio e ogni forma di violenza di genere, c’è un passaggio che sembra scritto pensando al femminicidio di Maria Ballardini: “I femminicidi/suicidi che vedono vittime donne anziane o con patologie negli atti giudiziari sono motivati con una certa comprensione e benevolenza; le coppie o le famiglie in cui maturano sono descritte come “molto unite”; l’uomo è indicato come colui che si prende cura dell’invalida (moglie, figlia o madre) e, alla fine, la uccide per le seguenti ragioni: per liberare la donna dalla malattia; perché lui stesso non tollera di vederla in quelle gravose condizioni; perché non ha più la forza di accudirla. Le piste di indagine nei femminicidi di donne anziane (specie quando vi è il suicidio dell’autore) proprio per questo sono sempre rivolte alla ricerca di patologie psichiatriche o malattie incurabili o a problemi di carattere economico che possano avere motivato l’evento, tanto da renderlo persino accettabile moralmente”.

Siamo preoccupate e quindi attente perché nessun femminicidio finisca per essere moralmente accettabile. Paola Di Nicola, magistrata e coordinatrice della Commissione, scrive che spesso gli omicidi-suicidi come quello di Maria Ballardini vengono archiviati senza indagini “chiusi senza capire se ci sia stata invece una storia di violenze o sofferenze patite dalla donna e di che genere. Ma ricordiamocelo bene: nessuna di queste donne ha chiesto di morire”.

Noi pensiamo che la giustizia farà il suo lavoro e noi faremo il nostro perché Maria Ballardini, chiunque sia stata, è una di meno tra noi e una in più da piangere, da ricordare e da proteggere.

Associazione Liberedonne – Casa delle donne

Donne in nero – Ravenna

Udi – Ravenna

Linea Rosa – Ravenna

Demetra Donne in aiuto – Lugo

Sos Donna – Faenza

Associazione FMP – Femminile Maschile Plurale – Ravenna

Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia Romagna”