“Sono trascorsi cinque anni da quel 5 marzo 2019, quando la motonave Berkan B, abbandonata a sé stessa da ottobre 2017 nel Porto di Ravenna, affondava con gran parte del carico di carburanti. Il giorno prima la presidenza dell’Autorità di Sistema Portuale aveva dichiarato che la situazione era tutta sotto controllo”.

Secondo Italia Nostra “Si è trattato di un danno ambientale rilevante avvenuto nel totale disinteresse delle Istituzioni, nelle acque in continuità con la Pialassa Piomboni, in area di Parco sottoposta a vincoli ambientali, che provocò la morte, contaminati di nafta, di un numero imprecisato di uccelli e pesci. Diversa l’espressione del Giudice di primo grado che ha comunque visto la condanna seppur lieve dell’imputato principale. Una sentenza analizzata e parzialmente smontata dopo poco dalla rivista Lexambiente, diretta dal Presidente della Terza Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, la stessa Sezione che a ottobre 2023 ha annullato la sentenza”.

Dopo cinque anni pare probabile che tutto cadrà in prescrizione, e nessuno verrà ritenuto responsabile: “Un po’ come accadde per un’altra vicenda a spese della “discarica” Piomboni, quella della bomba da 700 kg di tritolo ripescata durante i dragaggi e “smaltita” in Pialassa col silenzio del committente dei lavori. Articolati apparati e funzionari di ogni campo e livello da decine di migliaia di euro al mese, responsabili di nulla”.

Stessa sorte per la ciclopica “discarica” di materiali pericolosi accumulati a mollo nel “cimitero delle navi” dei Piomboni. “Denuncia archiviata da un Giudice alquanto seccato: il problema non esiste, come non esistono, a quanto pare, sopralluoghi di ARPAE che classifichino i materiali presenti a bordo, dove, in assenza di qualsiasi custodia, scorrazzano ogni giorno curiosi e dove, nei dintorni, si pratica bracconaggio ittico” commenta Italia Nostra. “Salvo poi leggere solo di recente un atto del Parco del Delta del Po, in cui si ammetterebbe la possibilità di presenza e di sversamenti di sostanze inquinanti ed eventuale incidenza sulle specie e sugli habitat.

Continua dunque l’assalto al patrimonio ambientale costiero ravennate: dai lavori di dragaggio con smaltimento in cava per l’hub portuale fino alla quota sovradimensionata dei – 14.50 m, allo stravolgimento della penisola Trattaroli (con le casse di colmata mai bonificate?) per il terminal container; dalla cosiddetta logistica per smaltimento su suolo vergine dei fanghi, al costruendo ecomostro terminal crociere di Porto Corsini; dalla realizzazione del nuovo gasdotto al cemento delle nuove villette che verranno realizzate un po’ ovunque in zone a pesante rischio idraulico per saturare tutta la costa; dallo scandalo Ortazzo, ai rifiuti riciclati e all’assalto alle dune del Parco Marittimo; dai tagli alberi per “riqualificare” le località costiere alle estrazioni di idrocarburi che si vorrebbero aumentare in barba alla subsidenza, dallo stoccaggio di CO2 alle implementazioni di impianti e discariche nelle zone del porto industriale… finché si giunge al culmine, con la realizzazione del rigassificatore e la cementificazione anche del mare grazie al muro paraonde da un chilometro. In tutto questo possiamo solo rallegrarci perché l’impegno delle associazioni nella costituzione di parte civile nel processo per l’affondamento ha visto almeno la rimozione del relitto Berkan B a fine 2021. Rimozione per la quale, nel silenzio totale delle istituzioni, ricordiamo con gratitudine per l’interessamento risolutivo, l’Ammiraglio Aurelio Caligiore, allora Comandante del RAM (Reparto Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto), in seno al Ministero dell’Ambiente”.