Il prossimo 21 dicembre, Romolo Guerri avrebbe compiuto 93 anni qui a Ravenna, se mercoledì 23 ottobre scorso non avesse raggiunto in paradiso la moglie Delia, lasciando il figlio Roberto e la nuora Tiziana.

Umile addetto dei retropalchi locali, è stato tuttavia tra i più conosciuti, avendo operato fianco a fianco con tanti personaggi, politici e non, della nostra città. Uno per tutti Benigno Zaccagnini. Tanto che due giorni dopo mi è arrivato questo sms: “Hai fatto bene a ricordare Romolo Guerri!! Antonio Patuelli”.

In realtà, colto di sorpresa dalla sua uscita di scena alle 19.30 del giorno stesso, ero appena riuscito a spedire quattro righe commosse ai giornali, per dare notizia che la cerimonia funebre sarebbe stata il giorno dopo. Mi aveva informato Gianluca Benzoni, nella veste, oltreché di amico, dell’associazione Carabinieri in congedo. Non per caso, perché Romolo è stato carabiniere di status per trent’anni, di fatto e d’animo per la vita, nei secoli fedele.

Basta avvolgere il nastro, ripartendo da Fano, dove nacque in una famiglia di mezzadri fedeli della Chiesa romana, a fianco di un fratello che era dirigente giovanile della Azione Cattolica locale. Arruolatosi nell’Arma dei Carabinieri nel 1947, appena maggiorenne, e destinato dapprima a Lugo di Romagna, arrivò a Ravenna, sul finire di quello stesso anno, in una sera di nebbione tanto fitto, quale solo i ravennati di allora possono ricordare, da chiedersi dove fosse capitato. Fu un’impressione breve. Qui si trovò subito tanto bene da declinare i ripetuti inviti dei superiori, estimatori della sua professionalità, a sostenere il corso da sottufficiale. Per i rigidi regolamenti degli anni cinquanta, avrebbe poi dovuto trasferirsi in altra località. Ma Ravenna – insisteva a dire – è casa mia, fedele perfino a quell’appartamento di Circonvallazione piazza d’Armi (nomen omen) che non avrebbe più lasciato.

A riposo dall’Arma nel 1977, subito iscrittosi all’associazione dei carabinieri in congedo, di cui è stato una delle colonne storiche, Romolo diede sfogo all’altra sua grande passione di cristiano sociale, arruolandosi come volontario h 24 nelle file della Democrazia Cristiana ravennate. La sua scrivania stava nello storico palazzo Rasponi Bonanzi di via di Roma, dove la DC è rimasta finché è vissuta, poi passato all’Unione delle cooperative ex Bianco Fiore. Impiegato scrupoloso, ma soprattutto fattorino di fiducia di quella dirigenza, ha visto passare da queste stanze personalità del mondo politico e delle istituzioni di ogni grado e statura. Da lì partiva con ogni tempo, instancabile sulla sua bicicletta, e lì rientrava, latore di messaggi, anche i più riservati, diretti o in arrivo dai palazzi del potere cittadino. Sfrattato, insieme al partito, da quel posto, ha continuato a militare, con la baldanza e l’intransigenza di sempre, finto burbero, ma sempre più critico, laddove è resistito, fino a consumarsi, lo scudo crociato.

Amante della bicicletta e del mare, Romolo è stato fino ai 90 anni un instancabile ciclista della domenica, 40 chilometri al giorno per raggiungere alternativamente tutti i lidi ravennati.

Inesauribile autore, con la sua vecchia Olivetti, di lettere al Direttore, ha dibattuto sui quotidiani locali, fino all’ ultimo dei suoi giorni in salute, dei più disparati temi della vita ravennate. Si alternava in ciò con l’amico di sempre Rosario Musumeci, morto nel 2015, anch’egli a 93 anni. Ritrovandolo, ha ripreso felicemente con lui il contraddittorio interrotto. Leggendomi, gli sta sbuffando che lui ha fatto solo il suo dovere, nulla di straordinario.

Addio Romolo, amico fedele in secula seculorum.