Il mese scorso, mentre eravamo ancora nel pieno dell’emergenza, era stato reso noto che la Procura di Ravenna aveva aperto un fascicolo per disastro colposo in relazione agli eventi dell’alluvione. Altri fascicoli, soltanto conoscitivi, riguardavano poi le conseguenze mortali del disastro. Ora anche i sette fascicoli corrispondenti agli altrettanti morti nel territorio di competenza della Procura hanno un profilo di reato su cui si indaga: omicidio colposo. Vale anche per questi casi quanto già scrivemmo a suo tempo (“Disastro colposo”, 24 maggio 2023), ossia che non ci sono indagati con nome e cognome, per un reato «commesso da ignoti, almeno al momento, nei confronti di noti: la cittadinanza dei Comuni alluvionati».

Non ha le gambe per salire sul banco degli imputati ma, non casualmente, la stessa stampa che riporta questa notizia gli ha già scattato “le foto segnaletiche”: parliamo del consumo del territorio nella Romagna devastata. Un titolo per tutti: “Territorio, continua il consumo. La Romagna ha raggiunto il 10%”. Interrogato espressamente sul rapporto tra l’evento che si è verificato e i dati sul consumo di suolo, risponde Michele Munafò, responsabile del Servizio per il sistema informativo nazionale ambientale di Ispra, che monitora la cementificazione dei territori: «C’è un concreto rischio di aumento della pericolosità, nel senso della probabilità che si verifichino eventi di allagamento di quella determinata area. Poi c’è un aumento del rischio di esposizione, ossia che vi siano beni (come abitazioni, imprese o patrimoni artistici) che, in conseguenza della minore permeabilità, finiscano sott’acqua per effetto di un fenomeno di allagamento». Guarda caso, proprio quello che è successo nelle zone densamente antropizzate, cementificate ed impermeabilizzate della Romagna andata sott’acqua.

E quanto pesa, allora, tutto ciò?  «Il dato da cui partire è questo: quasi 50 mila ettari di territorio romagnolo sono ricoperti dal cemento. La media italiana di consumo del suolo, stando sempre ai numeri dell’Ispra, è del 7,13%, la media dell’Emilia-Romagna dell’8,9% (quarta in Italia dopo Lombardia, Veneto e Campania), quella della sola Romagna addirittura del 10,12%. E l’Europa nella sua interezza? Supera di poco il quattro per cento. Stabilire delle soglie oltre le quali i rischi congiunti al troppo cemento diventano davvero pericolosi, come dicono gli esperti, non è cosa immediata, perché dipende dagli aspetti peculiari di ogni singolo territorio considerato. Ma è un fatto che la Romagna è tra le aree a maggior rischio idraulico e di frana in Italia. Il problema è che chi vorrebbe archiviare questo fenomeno a un malcostume del passato – nel quale la sensibilità verso temi come l’ambiente o la cura del territorio erano minori – sbaglia di grosso. Negli ultimi quindici anni, lo confermano le rilevazioni fatte dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il territorio consumato a Ravenna è cresciuto quasi di un punto percentuale e quello nelle provincie di Rimini e Forlì-Cesena quasi di mezzo punto. Se guardiamo poi al solo 2021, i dati diventano ancora più sconfortanti, in quanto Ravenna, con 68,7 ettari di suolo consumato in più, è stato il secondo comune d’Italia dopo Roma per incremento di cementificazione rispetto al 2020. Il malcostume, insomma, è tutt’altro che vecchio, ma bensì attualissimo, e questo nonostante la legge regionale del 2017 che puntava a limitare il consumo di territorio all’interno della Regione». Quanto fosse solo greenwashing quella legge che ancora in questi giorni Bonaccini si affannava a decantare, del resto, come Ravenna in Comune lo diciamo da prima ancora che fosse approvata dalla Regione.

Il consumo del territorio è l’unico colpevole del disastro? Certo che no. Senza il cambiamento climatico che le emissioni di gas serra, gas metano in testa, stanno causando, non vi sarebbe la quantità ed intensità di eventi meteo estremi di cui quelli del mese scorso costituiscono solo gli ultimi, più eclatanti, esempi. Senza una cattiva gestione delle manutenzioni dei corsi d’acqua, senza la carenza di spazi perché questi possano allargarsi in caso di bisogno, senza la mancata considerazione dell’intensità dei fenomeni che possono accadere, le conseguenze avrebbero potuto essere, molto probabilmente, assai minori.

E visto che va tanto di moda additare i pericolosi ambientalisti, in un pacchetto unico con nutrie e alberi, quali capri espiatori di quanto accaduto, rivoltiamo la frittata. Come Ravenna in Comune sosteniamo dunque che qualunque ricerca di responsabilità, di tipo politico sia ben chiaro, che volesse presentarsi come seria, dovrebbe piuttosto valutare le scelte che le Amministrazioni anche locali hanno compiuto negli anni per i territori oggi investiti dall’alluvione: in tema di cementificazione, di energie fossili e non rinnovabili, di errate o carenti manutenzioni. Vorremmo aggiungere, per chi non se ne fosse accorto, che gli ambientalisti non sono stati al governo del Paese o della Romagna in questi anni. La Procura verificherà se sotto l’aspetto penale vi siano persone fisiche a cui imputare il compimento dei reati sui quali indaga. Sotto il profilo della responsabilità politica, però, se chi lancia accuse agli ambientalisti riveste o ha rivestito negli ultimi anni ruoli di amministrazione in Romagna, meglio farebbe a guardarsi allo specchio prima di parlare.