È “un luogo degli incanti”, così lo avrebbe definito Giorgio Celli. Il grande naturalista umanista è stato ricordato a Faenza, nel decimo anniversario della sua morte, durante l’incontro che si è svolto sabato scorso nel giardino di Santa Chiara. Un’apertura eccezionale, concessa dalle Suore Clarisse, per un’iniziativa organizzata da Italia Nostra, Legambiente e da un Gruppo di ex attivisti del WWF di Faenza, che prevedeva un numero limitato di ospiti, nel rispetto di questo luogo delicato.

Il contesto ideale per ricordare un celebre entomologo, studioso di agroecosistemi, infaticabile difensore della natura, un precursore nella ricerca scientifica, che ha lasciato un’eredità culturale portata avanti da un folto gruppo di docenti universitari. Uno scienziato con “una vita parallela”, come hanno evidenziato Paolo Radeghieri, entomologo dell’Università di Bologna, stretto collaboratore di Celli, e Massimo Scalia, docente di fisica matematica.

Saggista e divulgatore, Giorgio Celli è stato anche un autore di testi teatrali, racconti, poesie, romanzi gialli, e ha fatto parte del Gruppo 63.

Al ricordo dell’intellettuale si è affiancata la celebrazione del luogo, con gli interventi di Marcella Vitali, Presidente di Italia Nostra e di Gianmarco Carcioffi, ex Responsabile del WWF di Faenza, incentrati sulla storia e il paesaggio.

“La storia di questo complesso urbano, dove si insedia il Monastero nel 1878, risale al XVI secolo; una mappa del 1811, del Catasto Gregoriano, è quasi sovrapponibile all’attuale assetto degli edifici e dell’area occupata dal giardino. Un hortus conclusus, luogo fondativo della storia dei giardini, che nel Monastero di Santa Chiara si integra con cedri e cipressi monumentali, siepi e prati”.

“Un paesaggio umano e uno scrigno di biodiversità, che ha attraversato i secoli, conservato con grande cura dalla comunità delle Clarisse. È quindi un giardino unico, nel contesto urbano di Faenza, non comparabile con i vari spazi verdi della città. Luogo prezioso, la cui integrità deve essere assolutamente mantenuta e tutelata, in prospettiva di una ridestinazione d’uso dell’intero complesso. Un bene culturale e sociale che può offrire molteplici benefici alla comunità, con la consapevolezza che la conservazione di questo patrimonio unico e sensibile dipende da una fruizione attenta e misurata, consona alla “natura” del luogo”.