Tutte le volte che si riapre il dibattito sulle questioni legate all’Oil&Gas, alla transizione energetica e ai posti di lavoro ci si polarizza verso due estremi: “Chiudiamo tutto subito” oppure “avanti tutta come se nulla fosse”.

Spesso si polarizza il dibattito in modo fazioso ed ipocrita come la Lega, che al Governo ha deciso di bloccare temporaneamente le estrazioni per poi ben pensare di far cadere il Governo ad agosto e liberarsi dalla responsabilità di dover decidere un percorso di transizione energetica, lasciando i problemi irrisolti per poi ora fingere di essere estranei da tutto.

Anche la Lega non ha la più pallida idea di come debba essere il futuro energetico del nostro paese, si limita a cambiare opinione a seconda della convenienza politica.

In un contesto dove troppo spesso la scienza diventa carne da macello alla ricerca di un consenso elettorale facile, il nostro contributo al dibattito non può evitare di partire da un ragionamento molto semplice, la transizione energetica del nostro paese deve seguire un percorso organizzato e preciso all’interno di un arco temporale che ci accompagnerà fino al 2030.

Ci troviamo all’inizio di una terza rivoluzione industriale che porterà ad avere il 100% dell’elettricità da fonti pulite e rinnovabili, modernizzerà la rete energetica, gli edifici e le infrastrutture, aumenterà l’efficienza energetica e creerà milioni di posti di lavoro nella nuova economia verde.

Come tutti i cambiamenti epocali di questo tipo ci saranno delle difficoltà, che andranno affrontate in primo luogo da chi guida il Paese tramite il “Pitesai”, un piano energetico nazionale che detti tempi e modalità.

Solo così l’industria potrà capire su quali binari fare impresa nel prossimo decennio. Senza ombra di dubbio dovremo affrontare una crisi di settore inevitabile che dovrà essere sostenuta in modo importante attraverso ammortizzatori sociali e formazione qualificante per le nuove professioni dell’economia verde.

Se da un lato la Politica deve dare linee di indirizzo, tempi e modalità, dall’altro l’industria deve parlare chiaramente a tutti i lavoratori spiegando come realmente stanno le cose. La comunità finanziaria globale, dal settore assicurativo, dalle organizzazione del commercio e molte delle principali società di consulenza nel settore energetico stanno cominciando a sganciarsi dall’industria dei combustibili fossili e ci sono due fatti innegabili. Il primo è che entro il 2030 si raggiungerà il picco di utilizzo dei combustibili fossili, e il secondo è che in questo percorso il gas naturale sarà la fonte fossile di transizione. Tutti gli investimenti in ricerca ed utilizzo del gas naturale hanno un arco temporale di ammortamento che non supera i prossimi 15 anni? Se la risposta è si, allora impostare un percorso che non prevede questi passaggi è assurdo ed insensato. Se invece la risposta è no allora significa che parliamo in investimenti che nessun imprenditore farebbe o dovrebbe fare. Ipotizzare investimenti che richiedano un arco temporale maggiore per essere sostenibili significa portare inevitabilmente a sprecare milioni di euro in “stranded asset”, ovvero beni immobilizzati che rimarranno dove sono a causa della diminuzione della domanda.

Questi sono i ragionamenti che deve fare la Politica senza limitarsi solo a guardare agli attuali posti di lavoro da preservare e da tutelare, ma bensì anche a quelli che potrebbero non essere creati per le generazioni future, che spesso purtroppo trovano meno spazio rispetto ai primi ma che rappresenterebbero un grido di aiuto da parte dei nostri giovani.

Voglio ribadirlo nuovamente, i primi ed imprescindibili passi sono quelli di sostenere con ammortizzatori sociali le criticità relative a questa crisi di settore e allo stesso tempo impostare un piano decennale che tracci chiaramente la strada da seguire.