Dal 22 gennaio è di nuovo esposta nella Pinacoteca Comunale la grande pala con la Deposizione dalla Croce di Jacopone da Faenza, dopo un complesso lavoro di restauro durato alcuni mesi.

Jacopone – così chiamato perché probabilmente era di stazza imponente – è una delle glorie artistiche faentine: figlio d’arte, apparteneva infatti a una dinastia di pittori molto attiva in città che inizia con il padre, Giovanni Battista Bertucci il Vecchio, lo zio Girolamo, e continua con figure di rilievo nel panorama cittadino come il nipote Giovanni Battista il giovane. Ma la sua figura è tutt’altro che locale, perché già nei primi decenni del Cinquecento era pittore assai stimato in Italia, attivo in importanti campagne decorative a Ferrara, a Ravenna e a Roma, dove si trasferisce forse già intorno al 1520, e dove nel 1550 è iscritto alla prestigiosa Accademia di San Luca, insieme al nipote Giovanni Battista Bertucci e ai massimi artisti del tempo.  Lo storiografo aretino Giorgio Vasari nel 1568 lo menziona tra i maestri di Taddeo Zuccari.

Jacopone infine ritorna a Faenza, dove rimane fino alla morte e dove continua a produrre lavori di grande impegno, tra i quali la Deposizione per l’Oratorio di San Rocco (1552-1553) e l’Incoronazione della Vergine, e nella parte inferiore la Disputa sull’ Incoronazione della Vergine e Santi Benedetto, gli evangelisti Giovanni e Matteo, San Giovanni Battista e san Celestino papa per la chiesa dei Celestini firmata e datata 1565 (entrambe nella Pinacoteca Comunale di Faenza).

Tutta l’impresa che riguarda il restauro della Deposizione, compreso il trasporto della monumentale opera, alta quasi quattro metri e larga oltre 2 metri, è stata finanziata da un generoso donatore, lo svizzero Auguste de Castelbajac. Questo mecenate ha voluto fare un regalo a Faenza, alla sua arte, e tra le molte opere della Pinacoteca Comunale che hanno bisogno di un intervento di conservazione, ha voluto che a beneficiarne fosse l’indiscusso capolavoro di un artista faentino purosangue.

I lavori sono durati circa tre mesi e sono stati svolti a Firenze da Alberto Dimuccio per la parte lignea, e Luisa Landi e Debora Minotti per la superficie pittorica.

Il legno del supporto, costituito da ben undici tavole una sopra l’altra, col tempo si era deformato causando cadute di colore che erano state fermate con toppe di carta giapponese. L’aspetto del dipinto era proprio quello di un ferito tutto incerottato, e guardandolo lo sguardo si soffermava più sui problemi, evidenziati dalle fermature di carta, che sulla qualità dell’opera. Ora possiamo di nuovo ammirare il dipinto in tutta la sua bellezza. Jacopone l’aveva eseguito nella sua piena maturità, dopo aver visto un bel po’ di mondo, per quei tempi: aveva lavorato a Ferrara con artisti di prim’ordine come Battista Dossi e Girolamo da Carpi, a Ravenna dove aveva affrescato la cupola di San Vitale, e a Roma dove aveva partecipato alla decorazione di Castel Sant’Angelo. Rientrato a Faenza, era un artista aggiornatissimo che sapeva rendere la brillantezza dei colori imparata dai pittori ferraresi e da Perin del Vaga, collaboratore di Raffaello. Aveva anche studiato bene le antichità classiche e le stampe di Dürer, e conosceva tutte le novità: per esempio, gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, e quelli Michelangelo nella Cappella Sistina. La sua cultura, ma anche la sua originalità, sono tutte concentrate nella Deposizione della Pinacoteca Comunale, una grande macchina teatrale, traboccante di emozione religiosa.

“Il restauro della Deposizione di San Rocco -spiega il sindaco di Faenza Massimo Isola– è stato un grande regalo a Faenza da parte di Auguste de Castelbajac, un mecenate straniero che si è interessato alla nostra Pinacoteca Comunale e che ringrazio anche a nome della cittadinanza. La Pinacoteca è, tra i nostri monumenti, un gioiello che da qualche tempo sta vivendo una nuova stagione di rinascita. E questo finanziamento importante è un riconoscimento allo straordinario tesoro esposto nelle sue sale ma anche a una delle più squisite manifestazioni dell’arte faentina ai suoi massimi livelli: il pittore del dipinto appena restaurato, Giacomo Bertucci, era non a caso chiamato Jacopone da Faenza.  Nel Cinquecento era stato attivo in tutta Italia con i più celebri artisti del suo tempo, e aveva portato con sé ovunque il nome della nostra città”.