Ravenna in Comune: nell'immagine la scheda prodotto delle tute scadute da dismettere

Il direttore generale dell’Ausl Romagna parla della presunta condizione di eccellenza della nostra rete ospedaliera e contemporaneamente la stessa Ausl fornisce convincenti prove del contrario. Una delle ragioni della nascita di quel mostruoso agglomerato che appiccicò assieme Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini fu quella di dar luogo «a forme di integrazione funzionali e strutturali idonee a garantire misure di razionalizzazione e snellimento amministrativo, nonché il contenimento della spesa pubblica». In altre parole si dichiarò (L.R. 22/2013 art.1) che il motivo dell’accrocchio stava nella necessità di spendere meno. In realtà si stava costruendo un soggetto capace di aumentare a dismisura la capacità di spesa e quindi, potenzialmente, di moltiplicare costi e sprechi. Evidente dunque il peso nell’organizzazione rappresentato dall’U.O. Programmazione e acquisti di beni e servizi.

Un esempio tra i tanti della “eccellenza” vantata da Carradori si è avuta con il bando di gara per il quale è appena cessato il termine di partecipazione. Alle 12.00 del 28 febbraio è scaduta la possibilità di presentare offerte per smaltire la bellezza di 128,2 tonnellate di tute protettive in polipropilene e polietilene. Si tratta di 444.640 tute inutilizzate, ad oggi ancora impilate in 717 bancali. Mezzo milione di tute scadute e quindi non più utilizzabili. Parliamo di materiali di recente acquisto, in quanto facenti parte delle spese effettuate dall’Auslona per proteggere i lavoratori dal rischio Covid. Acquisto disposto dopo lo scoppio dell’epidemia. Intento ovviamente apprezzabile che, però, vista l’enorme mole di inutilizzato inutilizzabile mette in luce a posteriori l’entità del problema a livello di programmazione degli acquisti. Quanto fosse costato questo mezzo milione di tute non è dato sapere. Dalla stampa apprendiamo solo che «ad inizio 2021, un primo bilancio dell’Ausl sull’acquisto dei vari dispositivi di protezione individuali (compresi occhiali, guanti e camici) fissava il totale a 94,2 milioni di pezzi per una spesa complessiva di 14,7 milioni di euro». Se e in che misura il bando appena concluso sarà in grado di ridurre quella che si profila come una perdita secca, lo scopriremo solo a procedure di gara terminate.

A livello di Ausl Romagna il deficit a fine 2022 ammontava a quasi 200 milioni di euro. Se questi sono i “vantaggi” riguardo il “contenimento della spesa pubblica”, figurarsi quello che si potrebbe dire per «l’obiettivo di assicurare e potenziare, in condizioni di qualità, omogeneità ed appropriatezza, i servizi di tutela della salute nell’interesse delle persone e della collettività». Si trattava dell’altra principale ragione addotta a motivo dell’unificazione delle ausl romagnole (L.R. 22/2013 art.1). Pochi giorni fa facevamo alcuni esempi di “eccellenza” di questo tipo: «Per quanto riguarda la presunta “eccellenza della rete” che secondo Carradori è costituita dall’Ausl Romagna, ci basta ricordare qualche perla. Come la riduzione delle automediche, lo sfacelo del nostro Pronto Soccorso, il fatto che 4 posti letto su 10 nella nostra provincia non siano più forniti dal servizio pubblico, le lunghe liste di attesa per visite ed esami, la chiusura di ginecologia come reparto autonomo a Ravenna, la chiusura dell’unità di terapia intensiva coronarica a Faenza e quella del punto nascita a Lugo. E si potrebbe continuare».

Come Ravenna in Comune non possiamo far altro che illustrare una volta in più il fallimento del partito, il PD, che regge le sorti della nostra sanità da troppi anni. Ogni famiglia romagnola continua a pagare un prezzo sempre più elevato di questo fallimento, sia a livello di qualità del servizio sanitario che della sua sostenibilità economica. I ravennati poi, come rivela anche l’ultima graduatoria degli ospedali italiani, tra i romagnoli sono quelli messi peggio. Alla faccia dell’eccellenza… perduta.”