“Oggi inizia il rilascio nel mare del Giappone delle acque contaminate dal disastro nucleare di Fukushima. Le 1,34 milioni di tonnellate che dall’11 marzo 2011 erano stoccate saranno rimesse in circolo. Perché? Perché sbarazzarsene così costa meno che attraverso altri possibili sistemi. Per chi la vuol vedere a tutti i costi in termini positivi, quasi tutti i 64 radionuclidi presenti nelle acque sono stati trattenuti da un sistema di filtrazione. Per chi rifiuta i paraocchi, il problema è rappresentato da quel “quasi”. Secondo la branca giapponese di Greenpeace «il fallimento della tecnologia di trattamento adottata (ALPS) implica che circa il 70% delle acque già filtrate dovrà essere nuovamente trattato e che nei prossimi anni, altre decine di migliaia di tonnellate di acqua contaminata continueranno ad accumularsi senza alcuna soluzione efficace, venendo infine rilasciate in mare. I rischi radiologici derivanti dal rilascio di acqua contaminata non sono stati completamente valutati e gli impatti biologici degli elementi radioattivi che saranno scaricati in mare, cioè trizio, carbonio-14, stronzio-90 e iodio-129, sono stati ignorati».

Fukushima, Cernobil, Three Mile Island sono solo i più noti esempi di quel nucleare “sicuro” che è tale finché non accade quanto si era escluso potesse accadere. Principio applicabile a tutte quelle situazioni di rischio industriale accantonate per la loro presunta rarità nonostante l’enorme entità del pericolo rappresentato: con il rigassificatore di Ravenna sappiamo di cosa parliamo e, in effetti, ne abbiamo abbondantemente raccontato. Gli eventi estremi resi più probabili dal cambiamento climatico accentuano inesorabilmente il loro accadimento. A Fukushima fu l’accoppiata terremoto-tsunami ad avere la meglio sulle misure di contenimento del rischio: un’onda alta 14 metri scavalcò le barriere di protezione della centrale impedendo ai sistemi di sicurezza di emergenza il raffreddamento dei reattori spentisi per il terremoto di 40 minuti prima. Attraverso un condotto che sfocia a un chilometro e mezzo dalla costa, sarà scaricata a mare l’acqua utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati, nonché le acque sotterranee pure contaminate e l’acqua piovana catturata sul posto. Secondo Greenpeace «l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) ha approvato i piani di rilascio dell’acqua contaminata ma non ha indagato sul funzionamento del sistema di trattamento ALPS e ha completamente ignorato i detriti di combustibile altamente radioattivi che si sono fusi e che continuano ogni giorno a contaminare le falde acquifere».

Le acque contaminate del mar del Giappone in comunicazione con l’Oceano Pacifico mettono a rischio l’ambiente marino e le zone transfrontaliere, da cui è derivata una comprensibile protesta cinese. Il portavoce del ministero degli esteri ha rivendicato che «L’Oceano è proprietà di tutta l’umanità, non è un luogo dove il Giappone può scaricare arbitrariamente acqua contaminata». La Cina a tutela della salute ha introdotto il divieto di importazione da 10 prefetture giapponesi, tra cui quella di Fukushima, e sottoporrà a controlli completi tutte le spedizioni provenienti da altre regioni, invece di limitarsi a controlli a campione, a causa dei timori di una contaminazione nucleare residua. In mancanza di analoghe decisioni in Italia e in Europa i consumatori di pescato non potranno tutelarsi autonomamente: l’indicazione obbligatoria presente non consente infatti di distinguere se non escludendo un’area vastissima. Fukushima rientra infatti nella “zona Fao 61” che comprende le acque del Pacifico nord-occidentale: oltre al Giappone, anche i mari coreani, russi e cinesi. Per Coldiretti, sulla base dei dati Istat relativi al 2020, «Oltre 21 milioni di chili di pesci, crostacei e molluschi arrivano in Italia dalle acque del Giappone». Dalla stessa zona Fao arrivano poi 18 milioni di chili di pesce dalla Cina e 3,3 milioni di chili dalla Corea.

In questo contesto vale allora la pena di ricordare quali forze politiche sostengano la reintroduzione del nucleare in Italia, nonostante i risultati chiari dei referendum che li hanno respinti. A livello nazionale e, quindi, con ribaltamento sulle forze politiche locali, sono per il “sì” all’atomo tutti i partiti dell’attuale maggioranza di destra in Parlamento. Lo stesso vale per Italia Viva, Azione e Più Europa. A livello locale si è poi espresso favorevolmente all’inserimento del nucleare nella cosiddetta “tassonomia green” il PRI di Fusignani. Infine il piddino de Pascale ha partecipato subito prima delle alluvioni alle iniziative di Calenda di promozione del nucleare.

Per Ravenna in Comune, proprio in occasione dell’inizio del rilascio delle acque contaminate di Fukushima, è opportuno ribadire quanto sosteniamo da tempo: «nessuna ambiguità nel rifiutare le vecchie energie del nucleare e del gas e nel chiedere investimenti nelle nuove, rinnovabili, sostenibili e portatrici di occasioni di lavoro. Vorremmo che altrettanta chiarezza fosse fatta dalla politica nazionale ma anche da quella locale». Perché il nucleare sicuro ad oggi, semplicemente, non esiste”.