“Le recenti notizie di cronaca relative a suicidi in carcere riportano prepotentemente all’attualità un male antico del nostro sistema come quello dell’inadeguatezza degli istituiti di pena. La credibilità di uno stato la si vede nella sicurezza che sa garantire ai propri cittadini e il tema carceri ha un rapporto diretto col tema sicurezza. Infatti, fermo restando il principio liberale del garantismo che è la base di ogni società civile, l’efficacia della risposta di un sistema alla domanda di legalità non consiste tanto (o meglio, solo) nell’avere un impianto normativo stringente ma, soprattutto, nella capacità di applicarlo e nella certezza di soddisfarne i contenuti. È inutile avere leggi stringenti, magari che spaventano per le conseguenze che prevedono, ma che poi hanno pochissime possibilità di essere attuate ancor più per l’inadeguatezza delle strutture. La richiesta di sicurezza passa inevitabilmente dalla certezza della pena e dal fatto che debba essere scontata in strutture adeguate. È un fatto di civiltà. Non concordo con quanti sostengono che il problema del sovraffollamento carcerario debba risolversi con le depenalizzazioni ma, al contrario, con a realizzazione di nuovi carceri contestualmente all’ adeguamento degli esistenti. Anche queste sono opere pubbliche importanti al pari e anche più delle infrastrutture. Un governo che fa le “law and order” il suo mantra prima di pensare a fantasiose ipotesi di ponte sullo Stretto, dovrebbe investire su questo. Anche per evitare di vedere vanificato il grande lavoro delle nostre forze dell’ordine che, oltre a dover fare i conti con organici sottodimensionati, si trovano ad arrestare spesso sempre le stesse persone colpevoli di reiterati reati ma regolarmente rimessi a piede libero anche dalla mancanza di strutture idonee a tenerli reclusi”.