A oltre tre mesi dalla tragica alluvione che ha colpito e travolto la Romagna, le sette Cooperative Agricole Braccianti di Ravenna (che rappresentano 618 lavoratori, di cui 373 soci) fanno il punto sullo stato dei loro 6.150 ettari (sui circa 12.000 in conduzione) sommersi per settimane dalle acque fuoriuscite dalla rottura di argini di fiumi e dall’esondazione di canali.

Sono migliaia gli ettari ricoperti da spessi strati di limo, via via cementificato e diventato una coltre dura fino a 20 cm, quasi indissodabile, dove la semina è ora impossibile: “Come dimostra ampiamente il caso delle CAB e nonostante molti dei “fari nazionali” si siano purtroppo ormai spenti, come temevamo, nel settore agricolo le emergenze sono ancora drammaticamente in atto. Chiediamo al Governo di mantenere la promessa fatta, quella di un risarcimento del 100% dei danni subiti – dichiara il presidente di Legacoop Romagna, Paolo Lucchi – visto che ad oggi non solo non esistono ancora indicazioni amministrative e tecniche ma le risorse – teoriche – stanziate per l’agricoltura (e non solo) sono decisamente inadeguate e comunque ora non disponibili”.

“Le CAB hanno iniziato un enorme lavoro di ricostruzione agraria con le loro forze, anche grazie al supporto della rete tecnica della filiera cooperativa – gli fa eco Stefano Patrizi, presidente di Promosagri – ma senza il sostegno immediato dello Stato, che ancora incredibilmente latita nonostante il grande aiuto alla collettività che le CAB hanno dato durante l’alluvione, rischiamo davvero di non tornare alla capacità produttiva e di lavoro pre-alluvione.”

Nonostante questa inevitabile premessa, l’obiettivo delle CAB non può che mirare al ritorno alle rese pre-alluvione e quindi al ripristino dei campi. I terreni alluvionati hanno manifestato sin da subito delle situazioni diversificate e molto critiche. Ripristinarne la produttività è oggi complicato, poiché vanno studiati e sono necessarie più fasi di lavorazione rispetto alla norma, con un inevitabile aumento dei costi e delle ore di lavoro.

Per Lino Bacchilega, direttore di CAB Ter.Ra, la speranza è di arrivare al 2024 riuscendo a rimettere a sistema l’80% del terreno. “Dei nostri 600 ettari allagati, 400 risultano ancora danneggiati. La prima semina di grano nei campi interessati dall’alluvione è prevista per il prossimo ottobre – commenta -, ma la caldissima stagione estiva con temperature da record sta compromettendo anche questa.”

Al momento si sta lavorando per riportare ossigeno al terreno rimasto per giorni sott’acqua e ripristinare l’intera flora microbica. Per permettere di riportare struttura al terreno si è intervenuti inizialmente attraverso erpice a disco, per rimescolare i primi centimetri di terra, per poi decompattarlo senza stravolgerne il profilo, ma portando ossigeno nel sottosuolo, permettendo la ripartenza della flora microbica, “È un processo fatto anche per cercare di asciugare la terra a strati, essendo in profondità ancora molto umida”, chiarisce Bacchilega. 

“Lo sgrondo delle acque è ostacolato dalla ostruzione di molti fossi e canali in cui è ancora presente una quantità importante di limo. Le operazioni di pulizia e ripristino della rete scolante vanno a rilento perché lo stesso limo non si è completamente asciugato e gli escavatori procedono quindi molto lentamente”, racconta Giampietro Sabbatani, direttore di CAB Massari.

Alla cooperativa di Conselice, tra le più colpite dall’alluvione, la lavorazione dei terreni è stata, ed è tuttora, difficoltosa a causa dell’interramento dei residui colturali di paglia (il 90% dei 700 ettari di frumento e orzo non è stato trebbiato perché distrutto) o dell’erba medica. In alcuni casi è addirittura impossibile, perché le trattrici e le macchine utilizzate si trovano impantanate nei terreni ancora molto impregnati di acqua.

“La maggior parte dei terreni sarà difficilmente arabile perché la quantità di acqua presente negli strati di terreno sotto i 15-20 centimetri è ancora molto elevata. Il rischio, dunque, è di comprometterne la futura fertilità se non vengono lavorati all’umidità ottimale. Date le premesse – conclude Sabbatani – possiamo dire che impiegheremo almeno due anni per riportare i terreni ad uno stato di fertilità sufficiente, anche se non ottimale. E per tornare ai livelli pre-alluvione dovremo comunque apportare molta sostanza organica, come letame e digestato”.

“La trebbiatura dei cereali si è conclusa con una superficie non raccolta pari al 32%, mentre la restante parte ha registrato una produzione media inferiore al 50% con risultati qualitativi sconfortanti. Due i motivi principali: il primo riguarda il danno subito dalla coltura a causa della permanenza dell’acqua, il secondo dall’impraticabilità dei campi. Raccogliere il grano alluvionato ha messo sotto forte stress le mietitrebbie che hanno registrato danni e fermi macchina ingenti. La nostra azienda presenta ora circa 50 ettari totalmente impraticabili e forse incoltivabili anche nel 2024”, riferisce Paolo Rosetti, direttore di CAB Comprensorio Cervese.

Sei ettari di terreno, a ridosso della rottura dell’argine del fiume Savio, sono stati grossolanamente ripristinati dall’intervento della Regione durante il rifacimento dell’argine, ma resta ancora da sistemare il piano campagna di altri 9 ettari, per una spesa di circa 100.000 euro, che peserà sulle casse della CAB. Inoltre, sono ancora inaccessibili 25 ettari e le colture a vivaio, fragole ed asparagi, registrano un rallentamento vegetativo che porterà ad una inferiore resa. “Sono sostanzialmente da rifare – conclude Rosetti – decine di chilometri di fossi collettori ad ampia sezione e scoline poderali. Da controllare e rifare decine di ettari di drenaggi tubati sotterranei, mentre si sta valutando la gestione dello strato di limo e argilla che si è depositato sui terreni. Nella zona a ridosso delle saline, infine, si rileva una concentrazione preoccupante di Sodio che ha alzato la salinità generale dei terreni. Al netto di altri eventi di questa portata – conclude -, auspico che si torni ad una gestione ordinaria nel 2025”.

“Ad oggi siamo finalmente riusciti ad entrare in tutti i terreni ma dobbiamo ancora capire come comportarci perché è la prima volta che affrontiamo una situazione del genere. Mai prima d’ora i campi erano rimasti sott’acqua così a lungo”, commenta il direttore di CAB Bagnacavallo e Faenza, Marco Lanzoni.

L’areale gestito dalla cooperativa agricola è molto esteso e presenta situazioni molto differenti tra loro: nel faentino si parla di alluvioni lampo, che hanno lasciato molti residui sui terreni. In questo caso il vero problema è legato al ripristino dei canali di scolo. A Bagnacavallo, invece, alcuni terreni nell’area circostante all’Argine Fosso Vecchio sono rimasti allagati per circa due settimane, fortunatamente però l’acqua quasi era priva di limo ed il problema è interrare la grande massa organica delle colture alluvionate (grano, triticale, erbai e colza), ma non si dovrebbero riscontrare problemi di fertilità dei suoli. Via via che ci si avvicina ai punti in cui il fiume ha rotto gli argini, invece, si rilevano sempre più problemi che, si spera, possano essere risolti entro il 2025. “In questi campi il sedimento limaccioso è, ina alcune zone, davvero abbondante, tanto che in alcuni punti non cresce nemmeno ancora l’erba. Qui abbiamo iniziato a mescolare il terreno così da cercare di ossigenare il suolo e renderlo nuovamente produttivo. Un’incognita importante, a cui non sappiamo se e quando daremo risposta, riguarda la quantità e il tipo di materia organica che si è depositata nei campi, perché – a memoria d’uomo – non si è mai verificato un quadro simile. Proprio per questo è difficile fare previsioni: alcuni terreni coinvolti dalla prima alluvione degli inizi di maggio, infatti, non sono purtroppo ancora produttivi mentre altre aree, allagate anche per 15 giorni, sono già in produzione”.

“Per Agrisfera rimane una grande incognita su circa 300 ettari di difficile ripristino in cui occorreranno almeno i prossimi sei mesi, o anche tutto l’inverno, per ridurre e gestire lo strato di limo. Si tratta di piastrelle grandi 30-40 centimetri e alte 10/12 centimetri: una sorta di cubi difficili da raffinare per poter seminare, ma speriamo comunque che la produzione possa riprendere già nel 2024”, spiega Giovanni Giambi, direttore della cooperativa agricola con sede a Sant’Alberto. 

“Penso che serviranno almeno tre anni per tornare completamente a regime, anche se in alcuni campi meno colpiti la speranza è di ottenere buone rese già dal prossimo anno. I problemi più gravi – conferma Franco Balducci, direttore di CAB Fusignano – sono dati dai maggiori costi da sostenere per le lavorazioni aggiuntive legate al ripristino dei terreni: dissodare lo strato di limo e rendere la terra arabile richiede infatti più passaggi. A questi poi vanno sommate le spese da affrontare per sistemare la rete di canali e fossi. Si tratta di centinaia di migliaia di euro”. 

Urgenza di sistemare canaline e canali di scolo anche per CAB Campiano, dove – spiega il presidente Massimo Pepoli – vi è la necessità di ripulirle da erba, cespugli e terra che impediscono il normale deflusso dell’acqua.