Sabato 13 febbraio anche a Ravenna si terrà una manifestazione sull’onda delle proteste scoppiate negli Stati Uniti dopo la morte di George Perry Floyd durante un arresto da parte della polizia. “Black Lives Matter” è lo slogan delle proteste e delle manifestazioni in piazza che si stanno susseguendo dopo la pubblicazione del video che ha mostrato i metodi utilizzati dagli agenti di polizia. Dopo le manifestazioni di Roma, Milano, Bologna e decine di altre città italiane, il flash mob denominato “Black Lives Matter” giunge quindi anche a Ravenna con l’iniziativa in programma per sabato sera in piazza del popolo e contro la quale si schiera Desideria Raggi, esponente di “La Rete”, il gruppo nato dopo la fuoriuscita di molti militanti da Forza Nuova avvenuta durante il periodo di lockdown, in disaccordo con la politica del leader Roberto Fiore.

“Siamo consapevoli che episodi di brutalità da parte delle forze dell’ordine siano diffusi in tutto l’emisfero, ma come al solito ci si strappa le vesti solo quando si deve assecondare un solidarismo effimero che difficilmente si verifica quando la vittima è un bianco” critica Desideria Raggi.
“Paradossalmente infatti sono proprio gli antirazzisti ad alimentare i conflitti razziali attraverso un processo sommario che vede la civiltà europea oppressore per natura. E così si giunge addirittura a rinnegare le proprie radici attraverso l’abbattimento di tutti i personaggi che hanno scritto la storia europea ed occidentale”.
Poi la critica maggiore “A valle del senso di umano compatimento per queste iniziative e per le loro conseguenze, sorge quasi spontaneo invece un disgusto ontologico verso tutti coloro che, come già fatto anche da una risma di parlamentari e giornalisti, digiuni di dignità, si prostrano in ginocchio, non a fronte della depressione economica e demografica che ha colpito il paese, non di fronte la prematura morte di giovani donne per mano di carnefici cannibali o al cospetto di centinaia di bambini allontanati in maniera illegittima dalle proprie famiglie, ma per il massimo giubilo di essere riusciti a cambiare il nome ad un cioccolatino, evidentemente colpevole, o forse più semplicemente non gradito ai palati degli araldi della società multietnica”.