I due impianti faentini collocati al livello più alto nella scala dei rischi industriali, cioè la CAVIRO, dove si è sviluppato l’incendio per ragioni al momento non accertate, e la GOWAN sono a meno di mezzo chilometro di distanza l’uno dall’altro. L’istituto professionale faentino Persolino Strocchi, con un migliaio di studenti, tanto per fare un esempio, si trova a poco più di un chilometro dalla prima e molto meno dalla seconda. Anche l’autostrada e la ferrovia passano poco distanti dai due insediamenti. E non è che il resto della città sia molto più in là: la cattedrale si trova giusto a due chilometri a mezzo da dove si è verificato l’incendio. E non è finita qui perché nei dintorni, sempre a Faenza, ci sono altri due impianti a rischio di incidente rilevanti.

Se tutto questo desta impressione, invitiamo allora a considerare che rispetto ai 4 impianti che rientrano per Faenza nell’elenco dei siti ad elevato rischio di incidente rilevante, a Ravenna ce ne sono 26! Si trovano per la maggior parte concentrati nella zona del porto industriale, tra Ravenna città e i lidi per capirci e, ciliegina sulla torta, sono praticamente tutti collocati nella soglia di rischio più alta (24 su 26). Dall’elenco manca naturalmente ancora l’impianto di rigassificazione per quanto sia già stato autorizzato grazie alla procedura speciale con tanto di commissario che ha saltato a piè pari quella prevista per gli impianti RIR (direttiva Seveso). Nonostante l’impressionante dimensione del rischio (messa in evidenza dalla cartina che pubblichiamo sul nostro sito), la tendenza delle istituzioni, sino all’eventuale verificarsi di un “problema”, è sempre la stessa: minimizzare quando non, addirittura, nascondere. Eppure il verificarsi del “problema” equivarrebbe al verificarsi di un immane disastro. Ricordiamo che, quando ci fu l’esplosione di Beirut causata da un deposito di nitrato d’ammonio nel porto di quella città, dalle istituzioni ravennati venne pronta esclusione della presenza di depositi di quel materiale. Non era (e non è) vero. Ravenna, storicamente (dagli anni “50 del secolo scorso), ha uno stabilimento fronte porto, oggi di Yara Italia, con importanti depositi di nitrato di ammonio. Ci volle Ravenna in Comune per ripristinare la verità, certo preferibile all’ignoranza, per quanto possa spaventare. Non a caso quello di Yara rientra tra gli impianti di massimo rischio Seveso.

Ravenna in Comune torna dunque, in occasione dell’ennesimo caso di disastro sfiorato, ad invocare da parte dell’Amministrazione ravennate l’avvio di politiche di riduzione del rischio. Ben sappiamo come non sia possibile eliminare dall’oggi al domani il potenziale esplosivo che si trova lungo il nostro porto. Tuttavia un’Amministrazione degna di questo nome avrebbe già dovuto iniziare il processo per una progressiva diminuzione dell’entità, favorendo la sostituzione di impianti ad elevato rischio con attività economiche sostenibili anche sotto questo punto di vista. Al contrario, de Pascale e maggioranza questo potenziale rischio continuano ad aumentarlo. Dal caso Beirut, infatti, si sono aggiunti i due depositi di GNL realizzati proprio davanti alle scuole di Marina di Ravenna. E nonostante gli enormi rischi dovuti al traffico di metaniere, denunciato già da Piero Angela, proprio il Sindaco ha festeggiato l’autorizzazione all’impianto di rigassificazione davanti alle spiagge turistiche. Certo non si può continuare a contare solo sullo spirito di sacrificio dei lavoratori. I sindacati dei Vigili del Fuoco denunciano: «I lavoratori e le lavoratrici hanno salvato vite in assenza di disposizioni chiare sugli orari di lavoro, sulla programmazione degli avvicendamenti, utilizzando la buona volontà dei capiturno che, da casa, sottraendo tempo alle proprie famiglie, hanno organizzato intere squadre a qualunque ora del giorno e della notte. Le stesse squadre che hanno operato, a volte, in mancanza dei più elementari supporti logistici per mangiare, lavarsi e riposare. Chiediamo, nel minor tempo possibile, di risolvere questi problemi, magari ascoltando i lavoratori». Ecco, se le istituzioni cominciassero ad ascoltare lavoratori e cittadinanza si potrebbe effettivamente iniziare una fase nuova. Come Ravenna in Comune torniamo a pretenderlo con forza.