Hiroshima, Auschwitz: un’indelebile associazione è incisa in quei nomi, diventati uno spartiacque nella storia dell’umanità (e della disumanità): c’è un “dopo” Hiroshima e Auschwitz che dovrebbe riassumersi nelle parole “mai più”.

I due maggiori compositori polacchi del secondo Novecento, Krzysztof Penderecki e Henryk Górecki, entrambi nati nel 1933, hanno dedicato a quegli orrori, rispettivamente, la Trenodia per le vittime di Hiroshima e la Sinfonia N.

3 Op. 36 “dei canti dolorosi”, colonne portanti del concerto con cui Ravenna Festival continua la propria riflessione su alcune fra le più dolorose pagine della Storia. Il 27 giugno, alle 21 al Teatro Alighieri, Aleksandar Markovic guida la Sinfonia Varsovia e l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, a cui si unisce il soprano Iwona Sobotka, in un programma che si completa con il Concerto triplo di Beethoven, solisti Valentina Benfenati, primo violino della Cherubini, il violoncellista Marcel Markowski della Varsovia e al pianoforte il vincitore del Premio Abbiati 2022 Filippo Gorini.

Per qualche tempo fu in sesta posizione nella pop chart del Regno Unito, subito dietro Paul McCartney: si stenta a crederlo di una composizione di musica classica contemporanea, soprattutto se fino ad allora il suo autore era rimasto pressoché sconosciuto in Occidente.

Era il 1992 e l’incisione della London Sinfonietta della Terza Sinfonia di Górecki sfiorò il milione di copie vendute. Scritta quindici anni prima, la Sinfonia è una contemplazione del dolore animata da un senso di partecipazione, e finanche identificazione, con le sofferenze.

 Alla celebrità della Trenodia per la vittime di Hiroshima di Penderecki ha contribuito il suo impiego cinematografico.

Composta nel 1961 per cinquantadue strumenti ad arco, alla sua prima esecuzione Penderecki riconobbe la carica emotiva di quegli archi urlanti e decise di dedicarlo alle vittime di Hiroshima.

Tutt’altro clima si respira nel Triplo Concerto beethoveniano: desideroso di rifarsi al più brillante sonatismo parigino, Beethoven lascia all’Allegro il compito di introdurre una profusione di idee da parte dei solisti e al Rondò alla polacca quello di concludere con suadenti sonorità.