“A 18 anni dalla istituzione del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola, è stata redatta la prima proposta del Piano territoriale del Parco. Il Piano Territoriale del Parco della Vena del Gesso Romagnola è uno strumento molto importante per la gestione di questo ambiente naturale unico al mondo e candidato a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Il Piano è inoltre propedeutico alla redazione della variante al Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (PIAE). Per questi motivi bisogna impedire che la mancata indicazione di una precisa tempistica per la cessazione dell’attività estrattiva possa aprire la strada addirittura all’ampliamento della cava di Monte Tondo, il che aggraverebbe l’impatto sull’ambiente delle attività estrattive e comprometterebbe la candidatura a patrimonio UNESCO. A denunciarlo è il Gruppo Europa Verde dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna che, condividendo le preoccupazioni della Federazione Speleologica Regionale e delle associazioni ambientaliste ribadite in un’assemblea pubblica tenutasi lo scorso 4 maggio a Faenza, ha presentato un’interrogazione alla Giunta per sapere quale sia la posizione della Regione sul contenuto della proposta di Piano Territoriale del Parco.

L’emergenza ambientale della Vena del Gesso non viene negata dagli estensori del Piano che sottolineano che “i sistemi carsici gessosi alterati dall’attività di cava sono tra i maggiori non soltanto della Vena del Gesso, ma dell’intera Unione Europea”. Tuttavia, nell’elencare le diverse grotte (tutte candidate a Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco) “direttamente intercettate dall’attività di cava con pesanti ripercussioni sull’idrologia sotterranea e di superficie”, e di quelle “non direttamente intercettate ma che hanno comunque subito alterazioni dell’idrologia sotterranea”, l’Ente Parchi non prende posizione circa le azioni da intraprendere per tutelarle, proponendosi l’obiettivo “di inserire tutte le cavità in questione in zona B (dentro il perimetro oggetto di tutela) alla dismissione dell’attività estrattiva”. In altre parole, saranno poste sotto tutela solo a seguito della fine delle attività estrattive, e non viceversa.

L’indicazione temporale di avvio della tutela solodopo che saranno cessate le estrazioni, indicazione che non era presente nellaprima stesura del Piano territoriale dello scorso febbraio, recepisce una delle osservazioni presentate dalla multinazionale Saint Gobain, che altro non è che il soggetto che svolge l’attività estrattiva. Si tratta palesemente di un’indicazione peggiorativa ai fini della protezione naturalistica del sito” – dichiara Silvia Zamboni, capogruppo di Europa Verde e Vice Presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna.Inoltre, nell’ultima versione della proposta di Piano Territoriale, lo studio commissionato e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nel 2020 viene solo citato senza riportarne le conclusioni, tanto meno senza evidenziare lo “scenario B” di tale studio che prevedeva di contenere l’area di estrazione del gesso entro i confini del vigente PIAE e invitava a considerare il nuovo periodo di attività concedibile (non superiore a dieci anni) come l’ultimo possibile. Tale scenario era quello ritenuto condivisibile sia dalla Regione, sia dalla Federazione Speleologica dell’Emilia-Romagna e dalle associazioni ambientaliste. Anche la Provincia di Ravenna, nell’esprimersi a metà maggio sulla Proposta di Variante al PIAE, ha individuato nello scenario B “l’unico che, stante il ruolo pianificatorio della provincia e considerato l’attuale quadro normativo e di zonizzazione così come definito dalla Rete Natura 2000, può essere preso in considerazione, valutando le competenti ambientali, paesaggistiche e socio-economiche coinvolte”.

Le ambiguità e le omissioni che si riscontrano nella proposta di Piano sono in palese contraddizione con le osservazioni che la Regione aveva elaborato nell’ambito della Consultazione preliminare del Piano Territoriale in cui aveva sottolineato, tra l’altro, che spettava proprio al Piano “prevedere la cessazione dell’attività estrattiva e la conseguente data di chiusura del Polo”.

Il Piano Territoriale del Parco della Vena del Gesso Romagnola è uno strumento fondamentale per la gestione di un ambiente naturale unico al mondo ed è propedeutico alla redazione della variante al Piano Infraregionale delle Attività Estrattive. Per questa ragione, al fine di richiamare l’attenzione su un tema che seguo dall’inizio del mio mandato in Assemblea legislativa, ho presentato un’interrogazione alla Giunta per sapere quale sia la posizione della Regione sulla proposta di Piano Territoriale del Parco della Vena del Gesso Romagnola, con particolare riferimento all’assenza di una precisa tempistica sulla cessazione dell’attività estrattiva; e se non ritenga che tale omissione possa consentire l’allargamento della cava di Monte Tondo rispetto al PIAE vigente, e, di conseguenza, compromettere la candidatura a patrimonio UNESCO di questo territorio di straordinario pregio naturalistico che dovrebbe definirsi entro l’estate.

La risposta interlocutoria ricevuta oggi in Commissione Ambiente dall’assessora Lori in merito al parere della Regione sul Piano Territoriale del Parco dà conto che l’iter non è concluso e che l’Ente Parco agisce in autonomia e sottolinea che l’area di cava, non essendo oggetto di candidatura Unesco, per questo motivo non la mette a rischio. In realtà i sistemi carsici della Grotta del Re Tiberio e della Grotta Tre anelli sono stati alterati proprio dall’attività estrattiva. Ricordo inoltre che il Piano territoriale deve occuparsi anche dell’area contigua, area ricompresa nel sito di Rete Natura 2000. Nella mia replica ho ribadito quindi la necessità di un ruolo attivo della Giunta in sede di valutazione del Piano affinchè venga inserito un esplicito riferimento allo scenario B dello studio commissionato dalla Regione in modo da utilizzare gli ultimi 10 anni di attività per la riconversione del Polo estrattivo e per la salvaguardia dei posti di lavoro” –conclude la consigliera Zamboni.