Ettore, Aurora e Silvia agirono «non certo per soddisfare un interesse personale ed egoistico, ma per uno scopo superiore, nobile e altruistico: la tutela dell’ambiente, messo a concreto e sempre più allarmante rischio di irreversibile compromissione dal cambiamento climatico in atto». Infatti «È indubbio che l’ambiente, valore costituzionale primario e precondizione per l’esercizio di diritti, anche fondamentali, della persona e della collettività, sia motivo di elevatissimo valore sociale». Dopo un’attestazione del genere ci si aspetterebbe che Ettore, Aurora e Silvia avessero ricevuto un premio dal Presidente della Repubblica. Del resto, nel comunicato del Quirinale del 27 aprile scorso, sui giovani premiati con l’Alfiere della Repubblica, che «i casi scelti non costituiscono tuttavia esempi di azioni rare, ma sono rappresentativi di comportamenti diffusi, di solidarietà spontanea: azioni e sentimenti da incoraggiare per diffondere tra i giovani quei valori che possono consentire loro di farsi costruttori di un futuro sostenibile, adulti consapevoli dell’importanza della solidarietà in un mondo attraversato da conflitti, cambiamenti climatici, crisi ambientali».

Invece i tre giovani di cui parliamo non hanno ricevuto un premio. Sono stati bensì condannati a sei mesi per violenza privata e interruzione di pubblico servizio in un processo svoltosi per direttissima per aver effettuato il blocco stradale della tangenziale di Bologna il 2 novembre dello scorso anno. Si erano riconnessi a madre terra, in qualche modo, cementandosi con le mani all’asfalto per sostenere nei confronti del Governo la richiesta di istituire un fondo «preventivo, permanente e partecipato, per riparare i danni subiti dai cittadini a causa degli eventi meteorologici estremi». Erano appena morte 5 persone in Toscana per emergenza maltempo. E, come ben sappiamo, altre 17 sono morte in Romagna per le alluvioni del maggio precedente: 8 nel ravennate, 2 nel bolognese, 3 nel forlivese e 4 nel cesenate.

«Le condotte criminose sono rappresentate da una forma di protesta, pur penalmente illecita, ma volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e i soggetti istituzionali sulle conseguenze dell’inerzia di fronte al cambiamento climatico e sull’ingiusta minaccia alle libertà future che pesa sulle prossime generazioni» si legge nelle motivazioni delle condanne ora rese pubbliche. Inizialmente c’era stato l’arresto e poi erano state inflitte misure cautelari in vista dell’apertura del processo: per due divieto di dimora a Bologna mentre la terza era stata sottoposta all’obbligo di firma. Ultima Generazione si era chiesta come fosse possibile che per un blocco stradale, «normalmente punibile con una sanzione amministrativa», ai tre dimostranti fosse stato «contestato il reato di violenza privata aggravata». Un reato che, secondo il dettato dell’art. 610 del codice penale, si integra quando «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa». Eppure «I tre manifestanti – sottolineava l’associazione – con la nonviolenza che contraddistingue Ultima Generazione, hanno bloccato una strada utilizzando i loro corpi con il solo scopo di chiedere al governo di proteggere i propri cittadini».

Nel 2019 sotto la spinta dei Fridays for Future furono tante le città dell’Emilia-Romagna ed anche la Regione a deliberare la necessità di una “Dichiarazione di emergenza climatica”. Fu così a Bologna, teatro dei fatti di cui parliamo, ma anche a Ravenna. De Pascale, dopo l’approvazione, dichiarò: «I ragazzi e le ragazze del movimento Fridays for future, a Ravenna e in tutto il mondo, stanno risvegliando le coscienze di tutti noi, cittadini e amministratori, e ci stanno mettendo davanti alle nostre responsabilità e alle conseguenze che si verificheranno se non verranno presi al più presto provvedimenti seri, in grado di arginare l’impatto dei cambiamenti climatici sul futuro del nostro pianeta. La nuova consapevolezza che sta nascendo ci deve far cambiare velocemente passo». E ancora: «La mozione per dichiarazione di emergenza climatica, che è appena stata approvata e che, in relazione alle competenze del Comune di Ravenna, contiene precisi impegni per la realizzazione di iniziative volte al contrasto al cambiamento climatico, diventa massima priorità nell’agenda dell’Amministrazione comunale». Non se ne fece nulla. Cementificazione a go go, sfruttamento intensivo delle fonti fossili e mancata cura del territorio sono continuate come prima e più di prima. Riservando totale indifferenza a chi rammentava gli impegni presi.

Prendendo atto che aveva ben ragione Greta Thunberg a pronosticare e condannare il vuoto “bla bla bla” delle istituzioni, dopo i disastri che si sono accumulati nei cinque anni successivi alle dichiarazioni di emergenza climatica, si stanno sempre più diffondendo azioni dimostrative non violente per portare l’attenzione sulla gravità del problema climatico. E sull’indispensabilità di un’azione politica per non accelerare le conseguenze già all’evidenza della collettività.

Come Ravenna in Comune eravamo d’accordo nel sostenere gli impegni della dichiarazione di emergenza climatica. Già allora, però, ricordavamo che si trattava di: «impegni che dovremo prendere quotidianamente, Soprattutto nelle piccole/grandi scelte che effettueremo in consiglio comunale, dove dovremo essere coerenti rispetto ciò che riporta questa mozione. Ricordiamoci che, malgrado i nostri tentativi di distruzione, la natura si salva e si ripara sempre. Chi invece rischia di estinguersi per le proprie azioni è l’uomo». All’indifferenza è seguita la repressione. Ravenna in Comune denuncia la repressione come debolezza della democrazia, resa evidente anche dalla continua negazione di spazi dove comunicare dissenso dal basso. Fare attivismo oggi (in tutte le sue forme) è sempre più difficile e, allo stesso tempo, indispensabile. Ravenna in Comune esprime pertanto solidarietà a tutte e tutti coloro che manifestano nella non violenza il dissenso verso le politiche locali (del centrosinistra) e nazionali (del centrodestra) che ci fanno avanzare sempre più rapidamente verso il prossimo disastro ambientale ampiamente annunciato. Se, come dice la giudice nel caso di Bologna, costituisce «un elevatissimo valore sociale» manifestare contro «l’ingiusta minaccia alle libertà future» rappresentata «dall’inerzia di fronte al cambiamento climatico», come si giustifica dal punto di vista democratico la violenta repressione in atto?”

 

 

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