“Uno dei prodotti più ricercati sul mercato, stando a dichiarazioni degli esercenti, notizie giornalistiche e pure associazioni di settore, è il lavoratore del settore turistico. Secondo Monica Ciarapica, presidente provinciale di Confesercenti e albergatrice, «Sulla riviera romagnola mancano dagli 8 ai 10mila lavoratori». Un altro dei prodotti introvabili, anche qui stando alle dichiarazioni dei diretti interessati, pure qui in base alle notizie giornalistiche, e ci aggiungiamo pure i sindacati, è il lavoro regolare nel settore turistico. Secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro quattro attività del settore ogni cinque sono irregolari. Le irregolarità riguardano praticamente tutto: dalle violazioni in materia di salute e sicurezza a quelle che sfruttano il lavoro nero, o forme di lavoro “grigio” in cui a non essere rispettato, volta a volta, è l’orario di lavoro e l’inquadramento contrattuale, ma non mancano omissioni contributive, violazioni contrattuali, ecc. ecc.

Sentiamo dire, sempre da parte di Ciarapica, che «In questi giorni hanno avuto risalto notizie di dipendenti completamente in nero e numerosi altri con orario solo parzialmente regolare e un’inchiesta televisiva che ha trattato i medesimi argomenti. Dobbiamo ammettere, purtroppo, che non si tratta di casi isolati. Condanniamo tali episodi, che non rendono giustizia a una categoria sana e corretta. Gran parte degli imprenditori turistici operano nella legalità, nel rispetto delle regole…». Alla luce dei dati riportati da I.N.L., forniti a valle di un’operazione di vigilanza straordinaria che ha riguardato i settori del turismo e dei pubblici esercizi e che è stata mirata al contrasto al lavoro sommerso e alla verifica del rispetto della disciplina in materia di salute e sicurezza, queste dichiarazioni fanno fatica a trovare appigli nella realtà. Gli imprenditori sani e corretti sono perle rare: per esistere, esistono, ma dove siano…

Questo spiega perché, come dichiara il Sindacato, «al momento il 90% dei lavoratori del settore viene dall’estero – Romania, Moldavia e Ucraina in particolar modo – perché è l’unica manodopera che accetta quelle condizioni». Dopo aver toccato con mano con una inchiesta sul campo i livelli di violazione raggiunti nel settore, una giornalista ravennate, Chiara Tadini, può scrivere senza timore di essere smentita che «Gli imprenditori continuano a negare tutto. “Paghiamo poco? Non facciamo contratti regolari? Macché. Se non si trovano più lavoratori la colpa è del reddito di cittadinanza”. E allora via con gli appelli e le grida d’allarme urlate a gran voce dagli imprenditori stagionali, che però poi dopo aver lanciato il sasso nascondono la mano. Che si lamentano se ai colloqui gli aspiranti dipendenti vogliono sapere qual è lo stipendio. Che si accusano tra loro in una tristissima guerra tra poveri (poveri di spirito, si intende) se una cameriera preferisce andare in un bar dove, per la stessa mansione, è pagata di più. Che, per quel posto di cameriera, offrono 3 euro l’ora per giornate lavorative da 10 ore. Che offrono retribuzioni fuori busta e negano il giorno di riposo obbligatorio per legge».

La stessa giornalista aggiunge, molto correttamente che «Chi conosce il settore sa bene come funziona: meglio pagare una multa ogni tanto, anche se di diverse migliaia di euro, e poi ricominciare tutto da capo. Il risparmio è comunque notevole. Meglio una sanzione una tantum piuttosto che inquadrare e pagare come si deve i dipendenti».

Qualche tempo fa, come Ravenna in Comune, abbiamo intitolato una nostra riflessione con un titolo di per sé chiarificatore del nostro punto di vista sull’argomento: «Schiavi in fuga dalla stagione turistica». Abbiamo denunciato il fatto che per «quelli che ci si ostina a chiamare “imprenditori” sia più appropriato il termine di “schiavista”: non ci si deve dunque stupire se riesce loro sempre più difficile trovare qualcuno che accetti la condizione di “schiavo”. Quando anche da parte delle istituzioni si inizierà a far pesare lo stigma di schiavista invece di partecipare come nulla fosse al taglio di nastri di qualunque nuova impresa dei “nostri” imprenditori, forse la storia degli “schiavi in fuga” prenderà una piega diversa».

Ad oggi, dobbiamo rilevare, nessuna voce si è levata contro lo sfruttamento e a favore del lavoro regolare dalle parti di Palazzo Merlato. Ci piacerebbe che un partito che discute appassionatamente di cambiare il proprio nome aggiungendovi proprio il termine “lavoro” (il PD), prendesse per una volta posizione a favore di lavoratrici e lavoratori sfruttati e non rappresentasse esclusivamente l’interesse dei cosiddetti imprenditori a sfruttarli. Lunedì prossimo è il primo maggio: festa delle lavoratrici e dei lavoratori. Invitiamo il Sindaco a tagliare un nastro di meno nell’occasione e mostrare più vicinanza ai festeggiati che a chi vorrebbe far loro “la festa”! Almeno una volta l’anno sarebbe auspicabile sentirlo spendere due parole sincere per esprimere la condanna, a nome di tutta la comunità, dei padroni che sfruttano e pure si lamentano.”