“La sentirò da italiano,” decise Giacomo Puccini di Manon Lescaut, il romanzo dell’Abate Prévost che già Massenet aveva messo in musica. Ma all’atmosfera “della cipria e dei minuetti” creata dal francese, Puccini preferì una partitura che fosse dominata dalle più disperate passioni. Quelle che – per il nuovo appuntamento della Stagione d’Opera del Teatro Alighieri di Ravenna, venerdì 18 febbraio alle 20.30 e domenica 20 alle 15.30 – la regia di Aldo Tarabella e le scene di Giuliano Spinelli trasfigurano in un solo e imponente elemento scenico: un palazzo che si trasforma progressivamente in un relitto, simbolo del naufragio delle speranze e degli amori. L’allestimento del Teatro del Giglio, in coproduzione con il Teatro di Pisa e teatri dell’Emilia Romagna, vede Marco Guidarini alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini mentre sulla scena il ruolo della protagonista è affidato a Monica Zanettin e Paolo Lardizzone veste i panni di Renato Des Grieux. Marcello Rosiello, Alberto Mastromarino e Saverio Pugliese sono rispettivamente il fratello di Manon, il banchiere Geronte e l’amico Edmondo.

I nuovi biglietti last minute (10 Euro per tutti e 5 Euro per gli under 30) sono acquistabili presso la Biglietteria del Teatro solo nei giorni di spettacolo, a partire da un’ora prima, salvo disponibilità e senza vincolo di categoria di posto.

“Abbiamo creato un allestimento – spiega Aldo Tarabella circa la collaborazione con lo scenografo Giuliano Spinelli – che è divenuto un unico elemento poetico che potesse dialogare con la storia di Manon: un palazzo monumentale che, al pari dei sogni e delle ambizioni della protagonista dell’opera, subirà crolli e mutazioni, dal giocoso esterno del palazzo di posta del primo atto agli interni maestosi del salone di Geronte al desolante molo del porto, sino alla sua definitiva metamorfosi nell’ultimo atto. Ho pensato che questa storia potesse sopravvivere oltre il tempo, come se fosse stata incisa sulle mura del palazzo per poi essere raccontata in un altro tempo, agli inizi del Novecento, rendendola così ancor più vicina a noi, durante un inizio d’anno a Parigi.”

Meno rappresentato fra i titoli del maestro ma “l’opera in cui Puccini trova se stesso”, come scrive Mosco Carner nella biografia critica, Manon – su un libretto dalla tormentatissima genesi che passò per le mani di Oliva, Ricordi, Illica, Praga e per il quale fu coinvolto anche Leoncavallo – fu un trionfale successo che garantì la consacrazione del compositore trentacinquenne, alla propria terza creazione per la scena. In occasione del debutto al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1893, il pubblico locale, solitamente assai compassato, chiamò il compositore alla ribalta 25 volte durante la recita e 30 dopo l’ultima calata di sipario. I critici lodarono tanto la profusione melodica dell’opera quanto la sua complessità tematica e orchestrale, sottolineando come “dall’Edgar a questa Manon il Puccini ha saltato un abisso” e riconoscendo nel compositore il solo che potesse raccogliere l’eredità di Verdi, il cui Falstaff sarebbe arrivato sulla scena soltanto otto giorni più tardi.

Della Manon si sottolinea spesso la natura volutamente non narrativa: più che una storia, il compositore sembra voler illustrare l’adempimento di un destino attraverso la giustapposizione di quattro quadri, quasi quattro stagioni del sentimento. L’atmosfera che caratterizza e distingue ogni scena diventa così un aspetto più importante della continuità narrativa o della coerenza dei personaggi. Questa preferenza è parte integrante della modernità dell’opera, in quanto si affida a personaggi inefficaci o conflittuali che non hanno controllo su di sé e sulla propria vita.

Il primo quadro è dominato dalle follie della giovinezza: la fulminante passione che subito lega i protagonisti si traduce nella fuga sia dalla vita conventuale a cui Manon era destinata che dalle risoluzioni di Des Grieux, il quale si era vantato di essere immune all’amore. Il tempo dell’idillio non è rappresentato, perché il secondo quadro già mostra Manon condurre quell’esistenza opulenta che si è assicurata diventando l’amante del ricco e anziano Geronte. Il terzo quadro ci guida in vista del mare, presso l’imbarcadero dove Manon attende di essere deportata dopo esser stata denunciata come ladra e adultera da Geronte per vendicarsi della passione mai sopita per Renato. Nel quarto e desolante quadro finale, domina il deserto americano, quella terra oltre il mare dove si infrange l’ultimo sogno degli amanti in fuga da una realtà a loro ostile.

Accanto alle voci protagoniste, la compagnia di canto si completa con Marco Innamorati nei panni dell’oste e del sergente degli arcieri, Irene Molinari in quelli di un musico, Cristiano Olivieri come il maestro di ballo e il lampionaio, Alessandro Ceccarini come comandante di Marina, mentre Greta Battistin e Giulia Petrucciani dividono il ruolo del parrucchiere. Il Coro Arché è preparato da Lorenzo Biagi. A curare le luci è Marco Minghetti, mentre i costumi sono di Rosanna Monti e le coreografie del corpo di ballo sono affidate a Luigia Frattaroli.

La Stagione d’Opera dell’Alighieri continua con Pinocchio, storia di un burattino il 26 e 27 marzo.