Oggi si “festeggia”, si fa per dire, per la 72esima volta, la giornata nazionale dedicata alle vittime del lavoro. I cosiddetti “incidenti” sul lavoro che, in realtà, altro non sono se non omicidi in cui, generalmente, il mandante resta impunito. In Italia da 15 anni svolge un lavoro prezioso, che però cesserà alla fine dell’anno, l’Osservatorio nazionale dei morti sul lavoro di Carlo Soricelli. I dati aggiornati ci dicono che dall’inizio dell’anno nel nostro Paese sono morti 1.210 lavoratori complessivi, 614 di questi sui luoghi di lavoro e i rimanenti in itinere e sulle strade. Per l’INAIL, nella relazione annualmente presentata al Parlamento, nel 2021 sono stati denunciati all’istituto poco più di 564mila infortuni sul lavoro. Le denunce di infortunio con esito mortale sono state 1.361. Va ricordato che si stimano in 4 milioni (dati dell’Osservatorio di Soricelli) i lavoratori non iscritti all’INAIL e perciò gli “incidenti” che li riguardano sono di fatto esclusi dalle relazioni ufficiali.

Proprio ieri i giornali hanno pubblicato notizia della «chiusura delle indagini per la morte di Bujar Hysa, il facchino 63enne che perse la vita la mattina del 15 luglio 2021 mentre lavorava alla Marcegaglia, schiacciato da un coil in fase di movimentazione all’interno di un deposito. Dei sette indagati iniziali, in tre si avvicinano a un probabile processo. Per i restanti quattro la Procura chiederà l’archiviazione». Stando alle notizie che appaiono sulla stampa, con frequenza i processi si concludono con un nulla o quasi di fatto. Dopo molti anni dall’evento l’ultimo grado di giudizio tende a consegnare alle famiglie delle vittime una sentenza in cui tra prescrizioni e assoluzioni parrebbe che, partite col sospetto di un omicidio, i giudici si siano convinti del “suicidio” del lavoratore.

Come Ravenna in Comune lo abbiamo detto più volte: «Cambiano le cause intermedie ma a provocare morti e feriti su lavoro è sempre l’aspirazione ad un profitto senza vincoli. Che si tratti di comprimere le manutenzioni o le misure di sicurezza o il rispetto dei contratti e delle leggi, alla fine è sempre l’aspirazione alla massimizzazione degli utili senza riguardo alla salute di chi lavora la causa prima dei cosiddetti “incidenti”. Fino a che i percettori degli utili, i padroni insomma invece delle figure intermedie appositamente messe a fare da filtro, non subiranno le conseguenze di una carcerazione, la voce “profitto” sui bilanci avrà sempre più peso dei costi imposti dalla “sicurezza”».

L’altro fattore che può fare la differenza, assieme al fatto di riuscire a mettere in cella i padroni e poi lasciarveli fino all’ultimo giorno in forza di una condanna, sono i controlli preventivi. Solo una costante ed intensa attività di prevenzione e di sanzione delle violazioni riscontrate può controbilanciare l’avidità senza freni dei padroni. Il 29 luglio scorso, in presenza del Sindaco, il Prefetto all’atto della sottoscrizione del patto per la prevenzione degli infortuni, la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e la legalità, da ben 42 fra enti e organizzazioni, aveva assicurato che si sarebbe proceduto ad una intensificazione dei controlli e a rivitalizzare quell’Osservatorio che Ravenna in Comune si era conquistato il 18 giugno 2019 in un Consiglio Comunale senza voti contrari. I patti e i protocolli da soli, se non vengono attuati, non servono a niente. L’odierna celebrazione sarebbe l’occasione giusta perché Sindaco e Prefetto aggiornassero la cittadinanza sull’attuazione di quanto promesso.