Ci stiamo abituando (non tutti ma molti) a rinunce importanti per una democrazia che non sia solo di facciata. Ci riferiamo agli evidenti limiti alla possibilità di manifestare il dissenso verso decisioni politiche non condivise. Un principio basilare della nostra Costituzione tutelato espressamente. Pensiamo alla libera manifestazione del pensiero non vincolata ad uno specifico mezzo di diffusione (art. 21) e alla correlata libertà di manifestarlo dovunque senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva (art. 17). Al più, se svolte «in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».

Cosa questo stia comportando a livello nazionale, con una comunicazione che non ammette punti di vista diversi da quello “governativo” lo si è visto con la pandemia prima e con la guerra ora. La “stretta” però si fa sentire anche a livello locale. A Ravenna ci si ricorda bene dell’interdizione alla manifestazione in luoghi determinati, da Piazza del Popolo alla Darsena che ha escluso dalla visibilità via via decentrandole sempre più lontano le manifestazioni di chi esprimeva contrarietà allo stravolgimento del green pass europeo (da strumento di facilitazione degli spostamenti a vincolo stringente su tutti pur di evitare ai padroni i costi delle necessarie misure contro l’estensione dei contagi). La stessa misura del divieto è stata poi estesa ad altri luoghi “sconsigliati” al momento del “preavviso” costituzionalmente previsto: ENI e i suoi impianti. Ci riferiamo allo spostamento in aperta campagna della manifestazione che avrebbe dovuto svolgersi in prossimità della centrale a gas di Casalborsetti. E di quella di sabato scorso che in origine era prevista davanti agli accessi del Petrolchimico.

Ora il tiro è stato ulteriormente alzato e sono state «Vietate le manifestazioni attorno all’area portuale. La decisione è stata presa ieri al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica». «Si è convenuto – spiega la prefettura – di rendere l’area off-limits da eventuali manifestazioni per tutelare le attività commerciali e l’incolumità delle persone e per non bloccare la viabilità all’interno di una zona che vedrà una grande movimentazione di mezzi pesanti per i lavori di escavo. Sarà emanata un’apposita ordinanza comunale per inibire l’area per un periodo di almeno sei mesi». Scopriremo solo al momento dell’emanazione dell’ordinanza l’esatta delimitazione dell’area che, comunque, si presenta di enorme estensione («Il porto di Ravenna è un porto canale che si estende per 14 km»). Ed anche i tempi vaghi («almeno sei mesi») se “giustificati” dai lavori, potrebbero potenzialmente allargarsi all’intero decennio, viste le previsioni per il loro completamento.

Ravenna in Comune chiede al Sindaco, cui spetta l’emanazione dell’ordinanza, di ridurre il più possibile l’ampiezza temporale e spaziale della limitazione. Nascondersi dietro i lavori portuali per ridurre i diritti costituzionali rappresenta un precedente che va addirittura oltre quello inaugurato con la pandemia. Come Ravenna in Comune evidenziamo ancora una volta gli enormi rischi per la democrazia rappresentati da una visione della sicurezza di tipo poliziesco e limitativa delle libertà personali. Ricordiamoci anche di “casa nostra” quando giustamente ci si esprime per tutelare i diritti di chi manifesta all’estero.