“In occasione della iniziativa commerciale “Fiera del Cappelletto”, svoltasi a metà maggio in Piazza Kennedy, gli organizzatori si sono avvalsi dei servizi di Hera. «Tutti i contenitori, le posate e i “bicchieri, grazie alla preziosa collaborazione di Hera, sono in materiale biodegradabile e compostabile» hanno dichiarato. Del resto, aggiungiamo noi, la stessa Hera (tramite “il Rifiutologo”) assicura la correttezza del conferimento di tale tipo di rifiuto (“piatti/bicchieri vuoti in mais o bioplastica”) nella filiera di raccolta dell’organico anche per le utenze domestiche.

Negli stessi giorni, però, una indagine della Unità Investigativa di Greenpeace Italia ha rivelato «che la maggior parte dei rifiuti organici in Italia finisce in impianti che non sono in grado di trattare efficacemente i materiali in plastica compostabile, che così finiscono in inceneritori o in discarica, in barba alla presunta sostenibilità. In Italia i prodotti monouso in plastica compostabile come piatti, posate e imballaggi rigidi, devono essere smaltiti insieme agli scarti alimentari. Tuttavia, stando ai dati del Catasto rifiuti di ISPRA, il 63 per cento della frazione organica è inviata in impianti che difficilmente riescono a degradare le plastiche compostabili».

La frazione umida può essere gestita in impianti di compostaggio o di digestione anaerobica. Una terza via è quella degli impianti integrati, ovvero in cui le due fasi (di digestione anaerobica e compostaggio aerobico) sono integrate nello stesso sito industriale. Gli impianti a digestione anaerobica presentano problemi nella degradazione perché la plastica compostabile si biodegrada in presenza di ossigeno, mentre gli impianti anaerobici hanno dei reattori che funzionano in assenza di ossigeno. Anche gli impianti di compostaggio, però, hanno problemi nella gestione di questo tipo di materiali. In quanto manufatti rigidi (il problema, infatti, non si presenta per gli shopper) piatti, bicchieri e posate hanno bisogno di almeno 12 settimane per completare il processo. Si tratta di tempi di cui non necessitano i materiali normalmente trattati da questi impianti che degradano molto prima. La conseguenza, molto spesso, è quella di una ulteriore selezione con reindirizzo delle bioplastiche alla filiera dell’indifferenziato. Le conclusioni dell’indagine hanno ricevuto replica da parte dei consorzi dei produttori, a sua volta confutata da Greenpeace Italia.

Come si vede, il problema non è solo di Ravenna né imputabile in modo specifico ad Hera. È invece dovuto ad una normativa nazionale che, differentemente dal resto dell’Europa, nell’applicare un’apposita direttiva europea consente il monouso delle bioplastiche e obbliga al loro conferimento nella filiera dell’organico. Tuttavia il messaggio che si fa passare è quello di indurre a ritenere che tra gli avanzi della porzione di cappelletti consumata ed il piatto in cui sono stati mangiati non vi sia differenza per quanto riguarda lo smaltimento del rifiuto. Non è così e per questo la direttiva europea cerca proprio di evitare la produzione di rifiuti generati dall’usa e getta. Come detto, in Italia invece si sono volute favorire le industrie dedicate alle bioplastiche monouso.

Come Ravenna in Comune riteniamo opportuno chiedere ad Hera dove vengano smaltite le bioplastiche rigide conferite nel nostro Comune e di ricevere conferma che siano effettivamente trasformate in compost e, quindi, garanzia che non vadano ad incrementare la quota di indifferenziato. Il Piano regionale rifiuti 2022-2027 presentato dalla Giunta Regionale fissa all’80% il target da raggiungere nella raccolta differenziata entro il 2025. Ravenna a livello provinciale è in fondo alla classifica regionale con il 61,1% e a livello comunale non va oltre il 62,1%. Non possiamo permetterci di giocare a fare greenwashing con stoviglie spacciate per compostabili se poi finiscono nell’indifferenziato.”

Ravenna in Comune