“Il 30 agosto scorso è stata trovata una bomba all’imboccatura del Porto, dentro le dighe. Non c’è niente di strano. I porti sono tra gli obiettivi principali dei bombardamenti aerei in situazione di guerra e il porto di Ravenna, naturalmente, non ha fatto eccezione. Per questo, prima di eseguire lavori che interessano il canale o le zone circostanti, è obbligatorio effettuare ricerche per escludere la presenza di esplosivi. Chiaramente, se si trova un qualcosa, come avvenuto in questo caso, subiscono un rallentamento le attività:

«L’ordigno che attualmente si trova interrato a circa 1,3 metri sul fondale di 11 metri, è stato lasciato nella posizione originaria in sicurezza e segnalato con un apposito galleggiante. Si sono subito attivati i protocolli di sicurezza che scattano in questi casi e si è già al lavoro per definire tempi e modi delle operazioni di bonifica, a salvaguardia dell’incolumità pubblica e privata. Le attività di dragaggio con la draga di Fincantieri non saranno avviate sino a quando l’ordigno non sarà rimosso, si stima in tempi contenuti, e non sarà completata la bonifica bellica dell’area».

È normale, dunque, ma porta conseguenze. Rallentare fa sicuramente “perdere tempo”, il “tempo è denaro”, ecc.

Undici anni fa, il 22 giugno 2010 alle 17.08, l’allora incaricato della CMC riceveva una telefonata: “C’è un bambino di un metro e mezzo imbrigliato nella griglia della draga. Un bambino nel senso di quelli che fanno boom”. Di quel ritrovamento le autorità non vennero avvisate e la bomba venne trasferita nelle poco profonde acque della Pialassa del Piombone. Scoperta la cosa grazie all’intercettazione di quella telefonata, 4.000 residenti furono direttamente interessati dall’ordinanza che il Comune di Ravenna dovette emanare per la rimozione della bomba (700 chili di tritolo), lo spostamento lungo il Candiano, il parcheggio in mare, il trasporto fino all’altezza del Poligono militare di foce Reno e la successiva detonazione controllata. Fu interdetta la navigazione nel tratto di canale compreso fra l’imboccatura delle dighe foranee ed il canale di accesso alla Pialassa del Piombone compreso. Fu vietato l’ormeggio alle navi in una ventina di banchine; persone e veicoli non poterono avvicinarsi a meno di 200 metri dal ciglio delle banchine stesse, niente persone su pontili, moli e banchine e a bordo di navi ormeggiate in un’altra decina di punti, compresi alcuni cantieri navali e circoli diportistici. Un costo enorme. Un’esplosione di 700 chili di tritolo, però, sarebbe “costata” molto di più…

Sarebbe bello poter credere che quella vicenda abbia insegnato qualcosa. Purtroppo i tanti segnali che giungono, le tante violazioni delle norme di sicurezza, in tanti campi, non solo in porto, non ci consentono di abbassare la guardia. Anche perché, se queste “vecchie” storie che hanno “l’abitudine” a ripetersi, non le racconta e ricorda Ravenna in Comune, dove le leggete?”

(Trovare bombe in zona porto è frequente: nell’immagine le operazioni relative al ritrovamento del 16 aprile scorso presso l’attracco del traghetto davanti a Porto Corsini)