Non importa in quale angolo del mondo due Armeni si incontrino; là – si dice – creeranno una nuova Armenia, dove rideranno, canteranno e pregheranno di nuovo. E giovedì 1 luglio sarà Ravenna Festival ad accogliere l’Armenian State Chamber Choir, che si unirà all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per il concerto Le vie dell’Amicizia diretto da Riccardo Muti al Pavaglione di Lugo (Ravenna), alle 21.30. Artisti italiani e armeni voleranno poi a Erevan per salire insieme sullo stesso palcoscenico, sempre con la guida di Muti, domenica 4 luglio, vent’anni dopo il primo concerto dell’Amicizia nella capitale armena. Così il Festival, ancora una volta preda di quella “dolce ansietà d’Oriente” che nel corso degli anni ne ha guidato lo sguardo su deserti, sacre vette, rotte antichissime, onora la sofferta spiritualità e drammatica storia di quelle genti con un programma che, apertosi con l’Incompiuta di Schubert, prosegue su pagine sacre di Haydn (il Te Deum), Mozart (il Kyrie in re minore K. 341) e di nuovo Schubert, con la Messa n. 2 in sol maggiore D. 167. Le voci soliste saranno quelle del tenore Giovanni Sala e degli armeni Nina Minasyan e Gurgen Baveyan, rispettivamente soprano e baritono; il coro è preparato da Robert Mlkeyan, mentre Davide Cavalli è all’organo. L’evento è possibile grazie al sostegno de La Cassa di Ravenna Spa e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna; già sold out, il concerto è in diretta su Rai Radio 3 e sarà trasmesso prossimamente da Rai 1, anche quest’anno al fianco del Festival sulle Vie dell’Amicizia.

“Le vie dell’Amicizia – commenta il sindaco e presidente della Provincia di Ravenna Michele de Pascale – sono l’incarnazione più profonda dello spirito di Ravenna Festival che, con questo irrinunciabile appuntamento, edizione dopo edizione ci ricorda come la musica, lingua universale che unisce i popoli senza bisogno di parole, sia un potentissimo strumento di relazione e consonanza tra anime. I concerti di Lugo e di Erevan, sotto la magistrale guida di Riccardo Muti che ha diretto tutti i concerti delle Vie dell’Amicizia, saranno quindi senza alcun dubbio incredibilmente emozionanti”.

Era un regno, un tempo, che si estendeva dal Mar Caspio al Mediterraneo; nel 301, l’Armenia fu il primo Paese ad adottare il Cristianesimo. Oggi gli Armeni – eterni traditi da una Storia che ha visto la loro terra attraversata da Romani, Bizantini, Ottomani, Curdi, Persiani, Mongoli, Sovietici – abitano una Repubblica poco più grande della nostra Sicilia. Ma la popolazione di quel lembo di terra di confine, sospesa fra Oriente e Occidente, è meno della metà degli Armeni che la diaspora ha sparso per il mondo (tre milioni gli uni, sette milioni gli altri). Per loro come per tanti, l’Armenia ha assunto dimensioni mitiche, intessute di reminiscenze bibliche; quel paesaggio, che il poeta russo Osip Mandel’stam paragonava al pane azzimo, è un territorio spirituale prima ancora che reale, una dimensione sentimentale.

Nel 2001 il Festival aveva scelto Erevan come destinazione delle Vie dell’Amicizia in occasione delle celebrazioni per i 1700 anni dalla proclamazione del Cristianesimo come religione dello stato armeno. Era, al tempo, il quinto appuntamento di un progetto inauguratosi nel 1997 con il primo storico concerto a Sarajevo. Da allora è da sempre Muti a salire sul podio di orchestre e cori italiani, a cui in ogni occasione si sono uniti musicisti delle città meta del viaggio, luoghi simbolo della storia antica e contemporanea, spesso feriti da conflitti o disastri naturali. Indimenticabili i concerti a Beirut, Gerusalemme, Mosca, New York dopo l’11 settembre, Nairobi, Redipuglia, Teheran, Kiev…e, nel 2020, al Parco Archeologico di Paestum, gemellato con il sito di Palmira, per ricordare il popolo siriano.

Mentre vent’anni fa il programma che univa italiani e armeni era interamente verdiano, il 1 luglio l’impeto celebrativo che pervade il Te Deum haydniano sembra riassumere lo sguardo fiducioso i concerti dell’Amicizia vogliono rivolgere al futuro, un gesto di solenne gioiosità e di speranza. Quella speranza, oggi più che mai necessaria, che trova espressione compiuta nella musica sacra, al di là di ogni credo o dottrina; quella speranza che, intrecciando il quotidiano desiderio del singolo con l’universale anelito al bene, risuona appunto nella religiosità serena e razionale di Haydn. Ma anche nella scrittura densa di sfumature cromatiche e nella strumentazione opulenta del Kyrie di Mozart, detto “di Monaco” perché in quella città composto. E innerva la Messa del giovane Schubert scritta, si dice, in soli sei giorni, eppure nel timbro delicato e dolce capace di richiamare ognuno al raccoglimento più intimo.

L’Armenian State Chamber Choir è stato fondato nel 2000 e affidato alla direzione artistica di Robert Mlkeyan. Composto di 32 voci, ha come missione principale l’esecuzione di capolavori dei compositori armeni; nel proprio repertorio, accanto ai lavori di Komitas, padre della musica classica armena, include brani di compositori contemporanei quali Tigran Mansurian, David Halajian, Edward Hayrapetian. Oltre a frequenti concerti e tournée anche in Europa, il Coro partecipa a progetti sociali ed educativi nelle aree rurali dell’Armenia, per introdurre un pubblico più vasto alla cultura corale.