E’ attualmente responsabile del 7% dei casi di Covid-19 in Italia, la sottovariante di Omicron BQ.1.1 nota come ‘Cerberus’: lo indicano le sequenze genetiche del virus SarsCOV2 raccolte nel nostro Paese e depositate nella banca dati internazionale Gisaid, i cui dati sono stati analizzati per l’ANSA dal Ceinge di Napoli.

“La situazione di Cerberus in Europa è preoccupante perché questa sottovariante è in ascesa: ora in Francia è al 35%, ma in altri Paesi, come Gran BretagnaGermania, Danimarca e in Italia si attesta a circa il 7%“, osserva il genetista Massimo Zollo, coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge, che ha analizzato i dati con Angelo Boccia, del gruppo di Bioinformatica del Ceinge coordinato da Giovanni Paolella.

Secondo i due esperti “è ipotizzabile un trend di crescita della sottovariante BQ.1.1, con raddoppio a breve.

Al momento non ci sono dati clinici su Cerberus e sarà importante – osservano – monitorare questo nelle ospedalizzazioni nelle prossime settimane”. Alla luce di queste considerazioni, i due esperti suggeriscono di “essere cauti con la possibilità di affermare che non esistano più nuove ondate di infezioni da SarsCoV2, in quanto il virus muta per la sua sopravvivenza nell’uomo”.

Complessivamente sono 157.717 le sequenze genetiche depositate dall’Italia nella banca dati Gisaid dall’inizio della pandemia e, di queste, 60.231corrispondono alla variante Omicron e alla sua numerosa famiglia (dalla BA.1 fino alle recenti BA.5). Delle 157.717 sequenze, 15.160 (al 10 ottobre scorso) corrispondono alla sottovariante Omicron BA.5, pari al 93.7%. Nella famiglia delle BA.5, si distinguono in particolare la BA 2.75 ‘Centaurus’ (1,8%) e BQ.1.1 ‘Cerberus’ (7%).

Sono tre, secondo Zollo e Boccia, le caratteristiche della sottovariante BQ.1.1 a meritare attenzione. Il primo è il ritmo con cui si diffonde, che “potrebbe essere superiore rispetto a quello rilevato, vista l’attuale riduzione del tracciamento dei positivi e l’utilizzo prevalente dei dispositivi antigenici rapidi. Cerberus potrebbe essere rilevata meno o non rilevata da kit diagnostici rapidi antigenici di vecchia generazione. Visto le nuove mutazioni in N, occorrono nuovi kit con anticorpi che riconoscono N di Omicron almeno di tipo BA.5 o ritornare al solo utilizzo della rilevazione molecolare più efficace e sensibile”. Il secondo punto riguarda la possibilità di bucare i vaccini, e la conseguente importanza della quarta dose con il vaccino contro Omicron BA:4-BA.5 per over 60, fragili, operatori sanitari, donne in gravidanza, pazienti immunocompromessi, ospiti di Rsa. In terzo luogo, i dati di Gisaid sembrano confermare la superiore capacità di replicazione indicata finora dai modelli bioinformatici, ma sono comunque necessari “dati in vitro e in vivo per un’ulteriore validazione della ipotesi. Quale poi sia il destino clinico di tali infezioni – concludono i ricercatori -non è noto oggi”.

La sottovariante BQ.1.1 è caratterizzata da tre mutazioni sulla proteina Spike, l’artiglio molecolare con cui il virus si aggancia alle cellule e di queste (indicate con le sigle S444T; S460K, R346T), l’ultima sembra avere una struttura che la rende più adatta a interagire con le cellule umane. “Come tale – osservano i ricercatori – possiamo ipotizzare che possa dare un vantaggio a bucare l’azione dei vaccini di vecchia generazione, ossia quelli usati per le tre dosi ad oggi”. Nella nucleoproteina N, che ha la funzione di proteggere il genoma virale, sono considerate “preoccupanti” le cinque mutazioni acquisite rispetto al virus originario di Wuhan: “le riteniamo importanti perché – osservano i ricercatori – potrebbero essere non rilevate, o rilevate meno, dai sistemi di tracciamento rapidi (antigenici rapidi attraverso l’utilizzo di anticorpi contro la proteina N di vecchia generazione) ora in uso per definire la positività e tracciarli sul territorio”. (Ansa)