Braccianti pagati 5 euro l’ora. Nuovo caso di caporalato scoperto a Ravenna grazie all’attività dell’Ispettorato del Lavoro, in collaborazione con la Polizia di Stato.

L’indagine è iniziata dopo il controllo di un’auto sulla quale viaggiavano alcuni cittadini di origine extracomunitaria, privi di documenti. Il gruppo si stava recando al lavoro per la raccolta dell’uva in alcuni fondi agricoli nella provincia di Ravenna.

Le operazioni sono quindi proseguite in un vitigno, dove gli ispettori del lavoro ed il personale di polizia hanno trovato 10 lavoratori di nazionalità afghana e bengalese, tutti richiedenti asilo. Gli operai erano stati formalmente assunti da un’azienda agricola riconducibile ad un cittadino straniero, sempre di origine extracomunitaria. Uno però era assunto in maniera irregolare, “in nero”. Nei fatti inoltre tutti gli operai erano al servizio di un’azienda agricola italiana.

Secondo la ricostruzione degli ispettori, i lavoratori venivano prelevati da due cittadini stranieri dal centro di accoglienza e poi condotti con due auto nel fondo ispezionato. Uno dei due caporali aveva poi il compito di rimanere fra i filari per controllare l’inizio e la fine della giornata lavorativa.

Nel corso delle indagini, gli ispettori hanno accertato che i lavoratori venivano pagati con una media di 5/6 euro, in contanti, per ora di lavoro al termine della giornata lavorata, ed in alcune circostanze, uno dei presunti “caporali” ha trattenuto anche una quota dalla paga giornaliera.
L’articolata attività di vigilanza, denominata “Spectrum”, ha fatto emergere che i lavoratori, non solo non ricevevano la busta paga, ma da un successivo esame delle stesse, gli ispettori hanno scoperto che le buste paghe erano prive degli obbligatori dati salariali, contributivi e fiscali e spesso non venivano neanche annotate le ore e le giornate lavorate.

Le operazioni ispettive sono proseguite in un vitigno, dove gli ispettori del lavoro ed il personale di polizia, rinvenivano al lavoro 10 operai di nazionalità afgana, bengalese e tutti richiedenti asilo. Da iniziali controlli, volti ad accertare le regolari assunzioni, si rilevava che i lavoratori erano stati formalmente assunti da una ditta agricola riconducibile ad un cittadino extra-comunitario.

Nei fatti tutti gli operai venivano, però, utilizzati nella raccolta da un’azienda agricola italiana, inoltre, nell’immediatezza degli accertamenti gli ispettori riscontravano, anche, che uno degli operai era completamente in “nero”. I lavoratori venivano prelevati da due extracomunitari dal centro di accoglienza e poi condotti con due macchine nel fondo ispezionato. Inoltre, dalle verifiche è anche emerso che uno dei presunti “caporali”, rimaneva sul fondo a controllare l’inizio e la fine della giornata lavorativa.
Nel corso delle indagini, gli ispettori accertavano che i lavoratori venivano pagati con una media di 5/6 euro in contanti per ora di lavoro al termine della giornata lavorata, ed in alcune circostanze, uno dei presunti “caporali” tratteneva anche una quota dalla paga giornaliera.
L’articolata attività di vigilanza, denominata “Spectrum”, ha fatto emergere che i lavoratori, non solo non ricevevano la busta paga, ma da un successivo esame delle stesse, gli ispettori hanno scoperto che le buste paghe erano prive degli obbligatori dati salariali, contributivi e fiscali e spesso non venivano neanche annotate le ore e giornate lavorate.

Inoltre, è stato anche accertato che la ditta straniera, che aveva assunto i 10 lavoratori, era fittizia, completamente sconosciuta all’Erario e costituita al solo scopo di reclutare manodopera a basso costo.
Al termine delle complesse indagini che hanno interessato gli anni dal 2018 al 2020, i presunti “caporali” sono stati deferiti all’Autorità Giudiziaria. Non sono stati resi noti i nomi delle società e delle persone coinvolte.