“C’era una mostra importante a Ravenna su Dante in questi giorni? Perché non si è saputo niente?” Questa l’imbarazzante domanda rivoltami da amici avvezzi alla cultura e appassionati d’arte. “Sì, c’era fino al 4 luglio. Anzi no, c’è ancora fino all’11 luglio”. Informazione carente e incongruenze nella comunicazione, visto il sito della mostra che riporta date contrastanti.

Lo stesso Vittorio Sgarbi, uno che di mostre si intende non poco, è riuscito a vederla per miracolo, perché casualmente ne ha trovato una brochure all’ultimo minuto.
“Le arti al tempo dell’esilio” doveva essere promossa dal Comune di Ravenna-Assessorato alla Cultura, dal MAR e dal Museo degli Uffizi: stupisce e rattrista il risultato davvero insoddisfacente, dopo che già ci eravamo fatti scippare da Forlì la “sede” romagnola delle celebrazioni dantesche.

Spiace constatare che gli sforzi promozionali messi in atto non abbiano raggiunto il target per una mostra che doveva e poteva essere la punta di diamante della commemorazione per il settecentenario a Ravenna.

La mostra, seconda tappa di una trilogia, allestita nella prestigiosa aula absidale di San Romualdo, è frutto di un’idea intrigante e ambiziosa e di due anni di lavoro e contatti. Pochi i visitatori, assente la scuola forse poco coinvolta: un’occasione perduta.
A Ravenna, la città in cui Dante visse e non solo morì 700 anni fa, la mostra proponeva un susseguirsi di capolavori che il sommo poeta ebbe l’occasione di vedere e ammirare nel suo cammino di esule per l’Italia: prestiti dagli Uffizi, da Verona, dai Musei Vaticani,  e dal Louvre è tornata a “casa” la Madonna con bambino in pietra originariamente allocata nella chiesa di San Francesco, luogo del ritrovamento delle ossa di Dante nella nostra città. Quest’opera, giunta in Francia per una compravendita (sic), era a buon diritto il logo della mostra: il riscatto del Sindaco poteva essere che qui rimanesse!