Condividiamo pienamente, la denuncia della Federazione Speleologica dell’Emilia-Romagna, sul progressivo sfruttamento del crinale di Monte Tondo, che ha provocato un forte impatto dal punto di vista paesaggistico e ambientale.

A questo si aggiunge la notizia della richiesta, da parte della multinazionale Saint-Gobain, di espandere ulteriormente l’area di estrazione della cava, nel sito di Borgo Rivola.

Riteniamo questa richiesta irricevibile, visti i diversi vincoli di tutela sull’area, citati anche nel Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (PIAE), che la definisce “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico/speleologico, naturalistico, paesaggistico e archeologico” e la definizione, nel 2000, del massimo quantitativo volumetrico estraibile, pari a 4,5 milioni di metri cubi di gesso.

In questi quasi 20 anni le quantità estratte sono state più lente del previsto e quindi l’azienda potrebbe continuare ancora per qualche tempo la sua attività di costruzione di pannelli di cartongesso, che occupa circa 80 lavoratori (si ipotizza addirittura per 10 – 15 anni). Quindi è esattamente questo il periodo per avviare una riconversione produttiva, che già avrebbe dovuto essere progettata in passato.

Come Legambiente, siamo particolarmente sensibili alla necessità della tutela del patrimonio naturale, in particolare in un ambiente unico come la Vena del Gesso Romagnola, ma il nostro interesse non si limita al “protezionismo” di alcuni luoghi più sensibili; noi pensiamo che tutte le attività umane, anche quelle che hanno necessariamente un impatto antropico, debbano essere il più possibile rese ecocompatibili, su tutto il territorio.

La multinazionale in questione, il gruppo Saint-Gobain, e Saint-Gobain PPC Italis S.P.A, si definiscono, sul loro sito,”leader nell’edilizia sostenibile e nei materiali e soluzioni pensati per il benessere di ciascuno ed il futuro di tutti”; è stata inserita tra le prime 100 aziende più innovative al mondo, dovrebbe avere quindi tutto il know how necessario per avviare la riorganizzazione produttiva, anche con materiali alternativi al gesso, garantendo il futuro occupazionale degli attuali e di altri lavoratori.

Contemporaneamente, anche pensando alle necessarie attività di ripristino ambientale dell’area della Cava e delle aree circostanti, possono essere avviate attività di valorizzazione di tutto il territorio: “ecoturismo, didattica, tutela del paesaggio, anche agricolo, recupero dei siti archeologici”, come chiede la Federazione Speleologica, (http://fsrer.it/site/un-confronto-sui-problemi-ambientali-della-vena-del-gesso-romagnola/) che possono creare importanti occasioni economiche e occupazionali, anche qualificate.

Per quanto ci riguarda intendiamo attivarci per sollecitare e coinvolgere tutti i soggetti interessati, assieme agli speleologici e alle associazioni ambientaliste, i Comuni, la Regione, il Parco della Vena del Gesso, le organizzazioni sindacali, i lavoratori e le comunità locali, per fare le necessarie pressioni sull’azienda.

Le affermazioni che, fortunatamente, si sentono oggi da più parti, sulla necessità di una nuova sostenibilità ambientale, sul green news deal, su un“nuovo patto per il clima e il lavoro”, ecc., non possono essere buone solo per i convegni e i comunicati stampa, ma devono essere declinate nella realtà quotidiana di tutti i territori.